A molti – sostenitori e non – appaiono ancora incomprensibili le ragioni che hanno spinto la cosiddetta «ala ministeriale» del Pdl a scindersi in una formazione politica indipendente, il «Nuovo Centrodestra». E’ vero che il conflitto interno tra «falchi» e «colombe», accentuatosi a seguito della nascita delle larghe intese, aveva stretto il presidente Berlusconi fra due fuochi; purtuttavia, tale conflitto si è sempre consumato sull’unico versante dell’appoggio al governo, e non aveva creato più di qualche scintilla in seno all’establishment pidiellino.
La faida sembrava essersi conclusa (pacificamente) lo scorso 2 di ottobre, quando lo stesso Berlusconi – sopraffatto dai numeri nonché terrorizzato (politicamente) dall’isolamento – aveva confermato la fiducia a Letta, riponendo in extremis il fogliaccio che fumava di sfiducia. Quella volta i «falchi» furono costretti a conformarsi alla linea moderata, ma – evidentemente – la ferita non si è mai cicatrizzata.
Dopo tanto discutere, la rottura si è consumata quando Berlusconi ha fatto sapere ai «governativi» che non avrebbe continuato a sostenere l’esecutivo nell’eventualità in cui il Pd «si fosse macchiato di un omicidio politico», peraltro aggravato dall’«infamia» del voto palese. Il Nuovo Centrodestra, in ogni caso, non se ne vuole prendere la responsabilità: «Non è corretto parlare di una scissione, che avviene quando c’è un partito, mentre il nostro non c’era più: la chiusura del Pdl è stata decretata una ventina di giorni fa con la delibera dell’ufficio di presidenza», ha detto in un’intervista Roberto Formigoni; «La caratteristica del Nuovo Centrodestra è quella di dare un contributo al rinnovamento e un sostegno a chi sta governando bene, anche attraverso la nuova classe dirigente», ribadisce il Ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi.
La nuova formazione politica, guidata da Angelino Alfano, può contare su trenta senatori e ventinove deputati; e secondo una indagine di Euromedia Research, si attesterebbe – ad oggi – al 3.6% dei consensi, a fronte del 20.1% di Forza Italia.
Un ultimo appunto sulla vicenda che ha interessato oggi il Parlamento è doveroso. La politica vive di reputazione e di autorevolezza: il ministro Cancellieri le ha perse entrambe. E in un momento storico in cui la politica (soprattutto quella italiana) deve correre (a fatica) dietro alla «credibilità», vista la sfiducia diffusa tra gli italiani – alle ultime elezioni in Basilicata ha votato meno del 50% degli aventi diritto – non è possibile immaginare che Governo e Parlamento chiudano un occhio anche stavolta. No. Si trattasse meramente di stabilire se c’è di mezzo il reato, sarebbe un problema della magistratura; invece, è un problema politico. Perché da un Ministro della Repubblica, quantomeno, ci si aspetterebbe un comportamento esemplare. Quantomeno.
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