Jim Pallotta è un milionario americano, ha comprato la Roma, ha una quota nei Celtics, ma soprattutto è un italo-americano. Lo dice lui stesso: orgoglioso di essere cresciuto a North End, il quartiere italiano di Boston dove ancora si parla la nostra lingua, dove ci sono bar e ristoranti come una volta, tutti legati alle stesse radici che portano in Italia. La mamma di Jim Pallotta, la signora Angelina, come dice il figlio "parla l’italiano, come mia sorella. L’unico che invece non dice nemmeno una parola sono io, ma spero, nei prossimi vent’anni, almeno di poterlo comprendere".
Jim Pallotta, un po’ come fanno tutti i presidenti, ha voluto riunire i media italiani che si trovano negli Stati Uniti, per una chiacchierata, per parlare della Roma e dei suoi programmi. Il presente e il futuro. Il proprietario della Roma ha chiamato a raccolta i giornalisti italiani che vivono negli States a New York, nella sede della Raptor, la società da lui fondata. Una palazzina che si trova proprio di fianco al celeberrimo ‘Chelsea Market’ e lì martedì per quasi due ore ha parlato, ha spiegato, ha cercato di precisare quello che sta succedendo alla Roma. Nella capitale, si sa, il calcio è una cosa maledettamente seria, al punto da stravolgere qualsiasi cosa, allora Mr. Pallotta, che però, da tutti vuole essere chiamato solo Jim, ha pensato che il modo migliore per potersi spiegare, dire tranquillamente quello che pensa di fare e ricordare alla gente quelle che ha fatto, fosse quello di trovarsi a casa sua e non a Roma. Ecco allora che lontano dalle pressioni della capitale, Mr. Pallotta si è liberato di un piccolo peso ed è andato a ruota libera, rispondendo, senza problemi, a tutte le domande che gli venivano rivolte. Forse non tutti lo ricordano, ma qualche tempo fa, non troppo, sembrava che nella Roma ci dovesse entrare anche uno sceicco. Una bufala, come si dice dalle nostre parti, perché alla fine non se n’è fatto nulla. Adnan Adel Aref Qaddumi, lo sceicco in questione, non ha tirato fuori i soldi, forse non li aveva nemmeno.
"Non siamo stupidi – ha precisato subito il presidente della Roma – forse siamo stati solo un po’ ingenui. In ogni caso lo sceicco ci è stato presentato da un intermediario, il quale ci ha anche detto che voleva entrare in società in modo consistente. Due advisor hanno svolto le indagini del caso ed è arrivata la conferma che tutto era a posto. Solo una volta stilato il contratto, si è visto che i soldi non li tirava fuori. Noi non ci abbiamo perso nulla, semmai solo del tempo". Ecco che chiarita una questione che aveva fatto salire il livello di ironia nei confronti della Roma e dei suoi proprietari americani, Mr. Pallotta ha aggiunto che persone influenti, dal portafoglio gonfio, ma davvero, interessate alla Roma ce ne sono tante, un po’ in tutto il mondo: dall’Europa all’Asia, dagli Stati Uniti al Sudamerica al Medio Oriente. C’è poi anche una nota società, la Morgan Stanley, specializzata in consulenze, che sta lavorando con il management della Roma per portare nuovi investitori. Perchè le idee di Jim Pallotta sono chiare: trasformare il brand Roma in un marchio ambito e di successo. E i risultati si stanno vedendo, soprattutto con l’accordo per dieci anni stilato con la Nike. "Un qualcosa che non ha nessuno, solo noi" ha sottolineato, stavolta sì con orgoglio il padrone bostoniano. Poi la conferma che per Jim la Roma e Roma vogliono dire soprattutto amore. "I miei genitori sono italiani, della provincia di Roma e di Bari, ecco quindi che il legame è strettissimo. Poi in questi anni tante volte mi è stato chiesto di entrare in società sportive, in diverse città degli USA, ma ho sempre detto di no. Ho voluto solo farlo per la mia città, cioè Boston e adesso Roma". E a Roma, oltre a volersi tenere Totti ancora, diciamo un paio di anni fino a quando il capitano non deciderà di smettere con il calcio giocato e di mettersi dietro a una scrivania, sempre giallorossa, sta per ‘donare’ quello che appare il suo sogno più grande: uno stadio di proprietà. Dovrebbe essere pronto al massimo nel 2017 e sarà un gioiello accanto al quale dovrebbero anche nascere attività collaterali. Mr. Pallotta, per fare un paio di paragoni, ha parlato di Los Angeles, ma anche soprattutto di San Antonio, River Walk, quel tratto di fiume che è diventato una caratteristica della città, attorniato, su entrambe le rive da una miriade di ristoranti e negozi. Il suo sogno è di vedere lo stesso a Roma.
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