Non è nuovo rivolgersi a Matteo Renzi come l’uomo della provvidenza. Ci hanno pensato gli scrivani de Il Fatto Quotidiano all’indomani delle elezioni Europee, quando Renzi riuscì a stupire tutti – in particolare le fronde minoritarie del Pd – con uno storico 40.81% di preferenze. Tra gli insulti e le polemiche degli stessi democratici, pochi si sono resi conto che eravamo soltanto all’inizio di questa inaspettata svolta politica.
I risultati del Pd di maggio non si vedevano dai tempi dei primi “giovani turchi”, un gruppo altrettanto polemico di giovani politici sardi, capeggiati da Francesco Cossiga, che nel 1956 vinse le elezioni per il direttivo provinciale sassarese della Democrazia Cristiana per poi promuovere un deciso progetto di modernizzazione e rinnovamento politico a livello nazionale, scontrandosi con i “reduci” allora dominanti nel partito. Furono quelli i gloriosi tempi del cambiamento, che avrebbero portato a distanza di un ventennio alle politiche innovatrici di Mariano Rumor e di Aldo Moro, attraverso la costituzione del centro-sinistra organico e l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori.
Dopo mezzo secolo, essendo ormai entrati negli annali di storia sia la prima repubblica che la disastrosa inchiesta di Mani Pulite – nonchè la mancata ‘svolta liberale’ di Berlusconi – ecco che paradossalmente siamo catapultati al fenomeno Renzi, quella «bandiera forte che sventola nel vento» e che non ha paura dei dogmi ideologici della sinistra, primo fra tutti l’articolo 18.
La direzione nazionale del Partito Democratico, conclusasi con la vittoria schiacciante della relazione Renzi con 130 voti a favore, 20 contrari e 11 astenuti, segna la fine di un’era, quella riformista di Prodi, D’Alema e Veltroni, e si apre al programma «cattolico-liberale» del giovane premier e segretario che sfida i «poteri aristocratici».
Arrivare fin qui non è stato facile. Gli italiani hanno vissuto un ventennio di battaglie all’ultimo sangue, a colpi di odio reciproco e ostruzionismo inarrestabile tra centrodestra e centrosinistra. Mancava forse un nuovo «l’uomo della provvidenza», così come lo descrisse Papa Pio XI, quando parlava di Mussolini in occasione della firma dei Patti Lateranensi del 1929. «E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, [i liberali del tempo erano una minoranza di aristocratici anticlericali], per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi».
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