E’ difficile redigere una road map del governo e delle riforme se chi e’ con te al timone della nave non condivide la rotta. Cio’ spiega le difficolta’ in cui si dibatte Enrico Letta a dispetto del sostegno del Quirinale. Gli attacchi di Matteo Renzi ad Angelino Alfano sono un segnale esplicito di questo problema: il sindaco rottamatore non puo’ ignorare la rivoluzione che si e’ consumata nel centrodestra proprio per mantenere il sostegno a Letta, eppure bombarda quel che e’ rimasto del Pdl in maggioranza (”siamo 300 a 30”) mettendo di conseguenza i transfughi berlusconiani in una posizione di oggettiva debolezza.
I renziani sostengono che quello di Berlusconi ed Alfano e’ stato in realta’ un falso divorzio e che gli attacchi da destra stanno a dimostrarlo: del resto a loro avviso Forza Italia e Ncd sono destinati a riunirsi quando si trattera’ di tornare al voto. E’ un’analisi che potenzialmente incrina tutta la strategia del premier il quale punta a scavalcare il semestre italiano di presidenza della Ue e a varare nel frattempo una serie di riforme economiche e istituzionali.
Si tratta di un’agenda tutt’altro che minimalista (basti pensare al taglio dei parlamentari o all’abolizione delle province) che richiederebbe una compattezza al momento inesistente. Il campanello d’allarme squillato al Senato, dove e’ andato in scena l’ennesimo rinvio della riforma elettorale, e’ eloquente: nemmeno l’imminenza della pronuncia della Consulta sul Porcellum ha smosso le posizioni. Forza Italia non ha voluto firmare l’ordine del giorno per il ritorno ad un Mattarellum light ma anche gli alfaniani (non presenti in commissione) avrebbero avuto qualche difficolta’ a sostenerlo. Allo stesso modo c’e’ una certa distanza, sui temi economici, tra la ”ripresa a portata di mano” di cui parla Letta e i 15 anni necessari per risollevare l’Italia preannunciati da Romano Prodi. Chi ha ragione?
Il Professore fa sapere che comunque basterebbero un paio d’anni di crescita positiva per avviare il processo, ma si tratta pur sempre di pronostici. Renzi, molto piu’ pragmatico, pensa che all’Italia serva il taglio di un miliardo di euro ai costi della politica (cifra che sembra un po’ fuori portata) e un ”gigantesco” piano per il lavoro, oltre al vero punto cruciale: la ricontrattazione degli impegni europei dal momento che, spiega il fedelissimo Dario Nardella, i parametri di Maastricht sono vecchi di vent’anni fa.
E’ chiaro che Letta deve forzatamente attendere l’esito delle primarie del Pd. Si tratta di vedere di quale investitura potra’ godere il sindaco di Firenze (se sara’ lui il vincitore): verra’ eletto al primo turno? E, soprattutto, godra’ di quell’affluenza (almeno due milioni di votanti) indispensabile per parlare di successo delle primarie? Se il leader fiorentino dovesse ottenere una vittoria a meta’ tutto cambierebbe, naturalmente. Ma l’impressione e’ che comunque il nuovo segretario, per scongiurare il rischio di una ”scissione silenziosa” (per stare all’espressione di Massimo D’Alema), non potra’ ignorare quella parte del partito che e’ schierata alle spalle di Gianni Cuperlo e che gli chiede di smetterla con le minacce al governo e con le trappole di percorso. Come dice il capogruppo Roberto Speranza, ”chi vince deve stare con l’Italia e con Letta”.
Tutto cio’ la dice lunga sui dubbi che serpeggiano nel Pd (e anche nel nuovo centrodestra) sulle reali intenzioni di Renzi. Un nuovo patto di legislatura, come quello di cui si parla, puo’ reggere solo se i contraenti sono determinati come un solo uomo a superare il semestre europeo di presidenza italiana. C’e’ infatti da prevedere la dura opposizione parlamentare di Forza Italia e del Movimento 5 Stelle: se dovessero mancare i risultati sul piano economico, Renzi rischierebbe di dover gestire nel 2015 una campagna elettorale di ritorno alla ”normalità” assai difficile per i democratici dopo aver suscitato cosi’ tante attese. Ed e’ questo il punto che alimenta i sospetti dei suoi avversari nel partito.
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