Tra gli oltre 15 appuntamenti fra incontri, convegni e conferenze programmati al 65esimo Prix Italia, ve n’è uno molto intrigante dal titolo, "C’è ancora bisogno dei corrispondenti esteri?". Organizzato dalla Rai per la quinta volta a Torino, il Prix prenderà il via il 21 settembre per chiudersi sei giorni dopo; ma la giornata più interessante, almeno per i giornalisti presenti, sarà domenica 22 quando si svolgerà il convegno su "Il giornalismo nell’era multimediale".
Il tema si snoderà tra sei argomenti tra cui: "Giornalismo di qualità: è possibile", in cui è previsto l’intervento di Ferruccio De Bortoli del Corsera. Il presidente Rai, Anna Maria Tarantola, invece parlerà del "Futuro dei servizi pubblici in Europa".
A trattare l’argomento dei corrispondenti esteri saranno cinque esperti tra cui Monica Maggioni di Rai News 24 e Cai Rienäcker della tedesca Swr (affiliata alla Ard-Tv in Baden).
L’argomento del corrispondente estero è molto interessante specialmente per un settore che deve trovare modi per risparmiare, visto che non può contare sulla crescita. In termini di spesa, un corrispondente negli Usa potrebbe costare a un giornale italiano fino a 300.000 dollari l’anno, il che inciderebbe sul costo totale per non oltre lo 0,48% (considerando il costo editoriale per un quotidiano come "Il Corriere della Sera" stimato a 48 milioni di euro o 24% del costo complessivo), ma la domanda è se lo stesso lavoro possa essere eseguito dall’Italia con le strutture esistenti utilizzando Internet sia per raccogliere informazioni in tempo reale che per comunicare con le fonti di notizie.
Per rispondere a queste domande ci siamo rivolti ad alcuni esperti, incluso Stefano Vaccara, collaboratore di varie testate e direttore del giornale online "La Voce". Secondo Vaccara, "il problema non è il corrispondente estero, bensì le reazioni dei giornali in Italia, perché se il corrispondente venisse utilizzato meglio, questo sarebbe indispensabile". "In Italia", afferma Vaccara, "si fa un giornalismo al contrario (di quello negli Usa, ndr). Per non essere rimproverati dall’Italia per non avere inviato la stessa notizia, i corrispondenti a New York si avvisano tra di loro".
Un aspetto confermato anche da questo giornalista che, avendo un tempo a disposizione due spazi settimanali su "Il Sole 24 Ore", a volte si vedeva archiviare una notizia esclusiva per "non bruciarla" (codice per aspettare che uscisse su altri giornali).
Continua Vaccara: "Se a un corrispondente negli Usa venisse concesso di fare, ad esempio, 40 servizi esclusivi l’anno (come era nello stile di Ugo Stille nel ventennio anni ’50-’70), il costo per la corrispondenza verrebbe più che giustificato".
"I corrispondenti all’estero servono eccome, certo dovrebbero essere un po’ più giornalisti e molto meno politici" è il parere di Paolo Di Vincenzo, giornalista professionista in attività da 27 anni e docente universitario alla facoltà di Scienze della comunicazione di Teramo. "Cosa intendo? Che facciano il loro mestiere: troppo spesso, in Italia, guardiamo servizi in Tv o leggiamo reportage sui giornali che non sono altro che riassunti di ciò che le Tv e i giornali stranieri diffondono nei propri Paesi. Purtroppo, il prestigio dei corrispondenti dalle capitali straniere e i compensi da favola (per il corrispondente Rai da una capitale europea si parla di 400.000 euro (circa US$ 530.000, ndr) l’anno, come scrive ‘Il secolo XIX’ in un articolo del 20 luglio 2012) hanno portato ad una politicizzazione, meglio lottizzazione, del ruolo di corrispondente. Invece, i corrispondenti sarebbero indispensabili per far comprendere meglio a chi vive nella Penisola il mondo che cambia. E’ vero, oggi ci sono tanti freelance residenti all’estero che, a costi infinitamente più bassi, possono garantire servizi dignitosi, ma spesso ciò che manca è proprio la visione ‘italiana’ del panorama straniero".
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