L’America ha eletto per ben due volte il primo presidente nero della sua storia. Si sono fatti enormi passi avanti. Ma il ‘sogno’ di liberta’ e di uguaglianza razziale, pronunciato cinquant’anni fa da Martin Luther King (Mlk), resta ancora non del tutto compiuto. Barack Obama, l’uomo a cui e’ toccata la sorte di realizzare quella profezia, lo sa bene. Il prossimo 28 agosto, parla dai gradini del Lincoln Memorial, a cinquant’anni esatti da quella giornata storica, quando il padre dei diritti civili ripete’ piu’ volte, a 250mila persone: ‘I have e a dream’. Un modo per chiudere il cerchio.
Lo slogan sara’ ”let the freedom ring’, fai risuonare la liberta’. Obama ribadira’ il suo legame strettissimo con il padre della rivolta non violenta. Ambedue giuristi, avvocati a favore dei deboli e vincitori del premio Nobel per la Pace. Gia’ nell’ottobre 2011 inauguro’ un monumento dedicato a Mlk, eretto con colpevole ritardo. E sin dalla sua prima campagna, nel 2008 Obama ha sempre spinto su questa identificazione simbolica, legando il ‘sogno’ del 1963 ai suoi messaggi di ”Hope’ ‘Change’ e ‘Yes We Can’. Anche mesi prima del voto del 2012 ha voluto sedere nel posto del bus che Rosa Parks decise non lasciare perche’ riservato ai bianchi, un gesto rivoluzionario che nel 1955 accese la miccia della riscossa. Grazie ad azioni di questo tipo, Barack ha ricevuto lo scorso novembre un secondo plebiscito da parte della comunita’ ‘black’. Tuttavia, e’ sempre stato attentissimo a non presentarsi come il Presidente dei neri, ma di tutti gli americani. E’ consapevole che l’America del 2013 resta un paese spaccato: la segregazione non passa piu’ dalla negazione dei diritti elementari degli anni’60, ma dalla forte diseguaglianza sociale che divide le razze. Le statistiche parlano chiaro: la comunita’ nera e’ colpita piu’ di altre da fenomeni di criminalita’, di abbandono scolastico, di poverta’. Anche oggi, con Obama presidente, un ragazzo nero che nasce in un ghetto di Chicago ha molte meno opportunita’ di successo di un suo coetaneo bianco. E basta poco per riaccendere la miccia dell’odio. Basti pensare alla tragedia di Trayvon Martin, un 16enne nero ucciso solo perche’ indossava un cappuccio da un vigilante, poi assolto.
All’epoca Obama disse che Trayvon poteva essere ”suo figlio”. Detto questo, ha sempre esortato le organizzazioni afro a non piangersi addosso, a evitare l’apatia, o peggio il vittimismo. Anche con un occhio alla demografia, ha cercato in questi anni di diluire la ‘questione nera’ nella piu’ ampia ‘questione migratoria’, parlando di discriminazioni universali patite dai suoi ‘fratelli’ afro-americani, come dai ‘latinos’, dagli asiatici, dalle donne, e dalle altre minoranze. Posizioni che gli hanno causato profonde frizioni con gli eredi di King, i custodi della tradizione della lotta per i diritti civili, i vestali dell’ortodossia nera. Nel luglio del 2009, parlando alla cerimonia del centenario della Naacp, la piu’ grande organizzazione ‘afro-american’, disse che ”il destino di ognuno e’ nelle proprie mani, guai a cercare scuse per i nostri fallimenti”. Piu avanti, ai deputati del Black Caucus fu ancora piu’ acido: ”E’ tempo di togliersi le pantofole, finirla di lamentarsi sempre e scendere in strada al mio fianco”. In passato, in un discorso per l’apertura delle scuole scosse i papa’ e alle mamme di colore, esortandoli a far studiare i propri figli, ad aiutarli a crearsi un futuro di medici, ingegneri, professionisti:”Smettete di giocare alla playstation e aiutateli a fare i compiti. Non e’ possibile che la massima aspirazione dei nostri ragazzi – attacco’ da Padre in Capo – sia diventare giocatore di basket, rapper o ballerina”’.
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