Sono sempre stato contrario all’abolizione delle province – il cui costo è circa l’1% della spesa pubblica (le regioni costano 40 volte tanto, ma chissà perché nonostante gli scandali seriamente non le vuole riformare o tagliare nessuno) -, soprattutto per la grande confusione che gira intorno a questa vicenda, diventata tutto uno spot dalla poca sostanza. Ben vengano le “aree metropolitane” perché tutti capiscono che Sesto San Giovanni, Monza e Milano sono un’unica conurbazione urbana (ma allora ci dovrebbe essere anche un solo comune), ma mi dite cosa c’entra Torino “area metropolitana” in cui è inserita anche il Sestriere o il Parco del Gran Paradiso?
Il problema – e lo ripeto da anni – andava affrontato al contrario: prima stabilire cosa devono fare le province e solo dopo stabilire la loro area ottimale sulla base delle loro competenze. La scelta più saggia era di raggrupparle ma tenerle in vita per le aree periferiche dove non ci sono comuni grandi e le città sono lontane, perché oggi le province servono per la manutenzione delle strade, lo sgombero della neve, le scuole secondarie, l’ambiente, caccia, pesca, la formazione professionale eccetera, ovvero materie che non è logico vengano gestite da lontano ma sul territorio. Macchè, demagogia assoluta e risparmi pari a zero, anzi nuovi costi se i dipendenti (auguri!) passeranno con inquadramento regionale. Nessuno comunque che abbia pensato anche ai servizi, quelli che in qualche modo dovrebbero essere garantiti ai cittadini.
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