Solo un miope (o un politico, che spesso sono la stessa cosa), non vede l’urgenza di tagliare le spese dello Stato. Ma quando si prendono le forbici in mano, bisogna scegliere se accorciare l’orlo del pantalone oppure le maniche della camicia. Chi amministra la cosa pubblica ha due compiti, uno più importante dell’altro: non perdere altro tempo, impugnando subito la forbice come il soldato il fucile, quando deve difendere la sua patria (e ridurre i costi oggi è un sacro dovere del cittadino). E poi distinguere fra ciò di cui si può fare a meno e quel che, invece, guai a chi lo tocca.
Nel caso del nostro ministero degli Esteri, che ci sforziamo di pensare sia ancora in mano ai diplomatici e non ai ragionieri, l’ipotesi di ridimensionare il ruolo e le funzioni del consolato di Montevideo è un esempio da antologia proprio di quel che “non” si deve fare. Sarebbe come decretare che, per risparmiare un po’ di denaro al Coni, che è la Farnesina del calcio, da domani una squadra a scelta fra Juve, Roma, Napoli, Fiorentina e Inter, cioè la testa della serie A, andrà a giocare in serie B. Incuranti, dunque, i responsabili di tale follia non solo del grande pubblico di tifosi in Italia e nel mondo appassionato di quelle magliette, ma anche del danno immediato e nel tempo che si fa allo sport, declassando per pura idiozia o ignoranza una squadra che vince.
Ecco, l’Uruguay, e non solo perché fra pochi mesi arriverà il Mondiale in Brasile, per l’Italia è esattamente come la Juve, la Roma o il Napoli per il mondo: un Paese in cui gli italiani hanno vinto e vincono. Hanno vinto con Garibaldi, a cui è stato dedicato l’unico monumento del pianeta in cui l’eroe dei due mondi appare nelle sue vesti marinare, cioè con un’àncora vicino al piedistallo. Hanno
vinto con il tango: la voce di Carlos Gardel era d’origine italiana, da ciò il suo bel canto. Hanno vinto con il calcio: la leggenda del Peñarol, proclamata “la squadra del secolo” dalla Fifa, discende dalla magia di Pinerolo. Hanno vinto con la bellezza: Punta del Este, la seconda Rio de Janeiro dell’America latina, ma più affascinante, è stata inventata da un signore che si chiamava Gorlero. Indovinate un po’ da dove potevano mai venire lui e la sua famiglia.
Gli italiani in Uruguay hanno vinto con la politica. Pepe Mujica Cordano, il presidente della Repubblica più famoso al mondo, oggi, dopo l’americano Barack Obama, ancora si commuove pensando al nonno ligure che gli insegnò la “cultura della terra”, cioè tutto per chi non smette di coltivare con l’esempio l’idea dell’onestà, che è il frutto più grande.
Se c’è un Paese in cui gli italiani sono parte integrante del Paese, se c’è un luogo della Terra in cui l’italianità ha saputo mescolarsi felicemente con l’identità, i sogni e le vite della nazione in cui approdava, questo Paese si chiama Uruguay. Che nei rimasugli di una parlata indigena ormai scomparsa, significa “il fiume degli uccelli dipinti”, caro ministro degli Esteri Emma Bonino. Fin dal nome di battesimo – “Uruguay” – c’è l’evocazione e l’invocazione di quel fiume che Garibaldi attraversò con Anita per venire a salvare l’indipendenza della sua gente. La gente del sempre riconoscente Uruguay, fiero di quel “libertador” che lo aiutò in un momento difficile della sua allora giovane esistenza, e fiero, l’Uruguay, di centinaia di migliaia di emigranti italiani che nel corso di un paio di secoli gli hanno donato la cosa più importante che avevano, spesso l’unica: i loro figli. Dietro a ogni uruguaiano c’è una storia vicina o lontana di Italia. E non averlo ancora capito, immaginando di poter buttare il consolato italiano di Montevideo nel cestino dell’irrilevanza, vuol dire non avere alcuna idea né di sé né dell’Italia.
Abolite, piuttosto, le vostre auto blu e i vostri privilegi insopportabili, signore e signori diplomatici-ragionieri, che a volte confondete l’Uruguay col Paraguay, avendo scarsa o nessuna dimestichezza con l’America che non per caso si chiama “latina”. Imparate da Mujica, l’oriundo italiano che, per far risparmiare alla sua terra uruguaya, s’è decurtato lo stipendio del novanta per cento. Ma che non si
azzarda a toccare una sola istituzione della nazione che funzioni. Sappiate, allora, che il Consolato di Montevideo funziona, dovendo oltretutto rivolgersi a un pubblico di 120 mila connazionali e tre milioni e mezzo di uruguaiani che guardano all’Italia come i nostri emigranti guardavano all’Uruguay: con amore fraterno. Ministro Bonino, lei che è donna ribelle e conosce il mondo, prenda in mano il fascicolo “consolato in Uruguay” e riveda subito questa proposta indecente.
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