"Io non mi sento Italiano / ma per fortuna o purtroppo lo sono". Gli scandali della corruzione in Italia sono come il caffè e il giornale, fanno parte della nostra quotidianità, della nostra routine. Passata la tempesta, il popolo se ne dimentica, sembra rassegnato, sembra che ritenga inutile manifestare o scendere in piazza, come se la corruzione facesse parte del costume nazionale. E allora mi sorge un dubbio: vuoi vedere che la commistione tra affari e politica è consuetudine legittimata nella vita sociale ed economica di un Paese? Se è vero che l’uso può diventare regola, deve essere così anche per la pratica dell’arte di arrangiarsi e di cercare il profitto conosciuta sin dai tempi antichi a tutti i livelli.
Evidentemente le vicende di Tangentopoli del 1992 non hanno insegnato nulla: io non voglio istigare, me ne guardo bene, sono un democratico convinto, ma dinanzi a questa roba anche Gesù Cristo scende dalla croce.
Il governo annuncia l’inasprimento della pena, la detenzione per chi è condannato per corruzione passa da quattro a sei anni; la prescrizione si allunga e il sequestro dei beni dei corrotti è totale. Ma anche così nessuno pensi che le cose cambieranno:
i colpevoli si faranno qualche mese ai servizi sociali, magari alla cooperativa 29 giugno, e alla fine si ricicleranno più potenti di prima.
Io non posso accettare, da italiano all’estero, di essere preso in giro sui giornali internazionali. Faccio appello agli amici del M5S, perché si dimettano in massa e ci portino alle elezioni: sarò un sognatore, ma continuo a sperare che ci siano ancora persone perbene nel nostro Paese.
"Io non mi sento italiano / ma per fortuna o purtroppo lo sono". Cosa devo raccontare a mio figlio dell’Italia? Cosa gli dirò quando sentirà ancora parlare di spaghetti mandolino e mafia? Rinascimento e bellezza paesaggistica non basteranno a cancellare l’immagine di un Paese sconfitto, incapace di rialzarsi, che si è arreso ai barbari.
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