Un silenzio che dura da oltre un anno e che potrebbe significare due cose, "arretramento" da un lato e "riorganizzazione" dall’altro: dopo le parole del ministro dell’Interno Angelino Alfano su una possibile ripresa dello stragismo mafioso, gli investigatori che da anni si occupano di Cosa Nostra ripetono che, allo stato, le attivita’ sul territorio non hanno fatto registrare segnali in questa direzione. Cio’ non vuol dire che la mafia non rappresenti piu’ un pericolo e che si possa abbassare l’attenzione: in primo luogo perche’ resta ancora da assicurare alla giustizia quello che e’ considerato a tutti gli effetti il numero uno di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro. E secondo perche’ proprio il "silenzio operativo" che si registra a Palermo e dintorni puo’ nascondere una strategia precisa decisa dalle cosche per rimettersi in sesto dopo i colpi subiti dallo Stato.
Quel che e’ certo, dice chi si occupa di mandamenti e famiglie mafiose, e’ che gli arresti da un lato e i risultati delle indagini patrimoniali dall’altro hanno messo Cosa Nostra in seria difficolta’. Le estorsioni restano l’attivita’ primaria, ma sono piu’ una necessita’ pratica che un reale controllo del territorio. E le cosche sono tornate a interessarsi in maniera pesante del traffico di droga, sia sui mercati internazionali sia con il controllo delle piazze di spaccio. Si e’ quindi di fronte ad un "indebolimento strutturale", come sosteneva la Dia nell’ultima relazione inviata al Parlamento, cui fa seguito "una perdita di credibilita’, non essendo piu’ quel sistema in grado di garantire un effettivo esercizio di potere ed il godimento di antichi privilegi".
Il vero problema di Cosa Nostra oggi, dice un investigatore, e’ "il carcerario": i boss storici, decine di killer e manovali delle estorsioni sono in prigione, quasi tutti in regime di 41 bis. Un problema non piu’ affrontabile con i metodi di un tempo, vista sia la reale debolezza dell’organizzazione sia la frantumazione dello scenario politico e l’impossibilita’ di trovare un interlocutore forte, che possa realmente rispondere alle richieste delle cosche. E non e’ un caso che il calo dei votanti alle elezioni che hanno portato Rosario Crocetta alla guida della Regione venga letto dagli investigatori proprio in questa chiave.
L’altro elemento che viene evidenziato e’ che il silenzio potrebbe essere il frutto di una reale incapacita’ di riorganizzarsi per via dell’assenza di leadership e di un vertice in grado di far stare insieme le varie anime dell’organizzazione, ricomporre le fratture tra le cosche e mettere in campo una progettualita’ unica. La sfida che stanno affrontando gli investigatori e’ quindi capire cosa realmente si nasconda dietro questo silenzio e quali siano le reali forze in campo oggi.
Ben diverso il discorso delle minacce ai magistrati, in primis quelli che coordinano l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, ai quali e’ stato rafforzato il dispositivo di sicurezza personale. Il rischio per quelle figure piu’ esposte e’ reale e, dicono gli investigatori, potrebbe arrivare non solo da una decisione calata dal ‘vertice’ di Cosa Nostra, tutta comunque da verificare, quanto da schegge impazzite, singoli personaggi o anche piccoli gruppi legati alle cosche.
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