Il ‘sogno’ di una Catalogna indipendente si allontana. Artur Mas, uscito vincitore ma molto ridimensionato dalle urne catalane rispetto al 2010, ovviamente lo nega, ma rischia seriamente di dover rinunciare al referendum sull’ ‘Estado Propio’, lo Stato indipendente. E’ stato, è vero, il tema centrale della campagna elettorale, ma dallo scrutinio è emersa una maggioranza a favore dell’indipendenza eterogenea ed ingovernabile.
A questo punto, secondo molti osservatori, Mas puó soltanto tentare di lasciare la pistola della minaccia indipendentista sul tavolo delle trattative con Madrid, sperando di ottenere nuove concessioni, come una maggiore autonomia e forse un regime fiscale piú vantaggioso. Ma non è detto che funzioni, perchè la distanza tra il suo partito, il centrista Convergencia i Unio, e quello della sinistra indipendentista di Esquerra Repubblicana de Catalunya (solo assieme avrebbero la maggioranza assoluta in Parlamento) appare incolmabile su quasi tutti i temi. Insomma, il Parlament di Barcellona conta si’ una maggioranza di deputati secessionisti, ma il partito centrista di Mas non solo non è riuscito a strappare la maggioranza assoluta da solo ma ha perso fino a 7 seggi secondo i primi exit poll. E in Spagna in queste ore c’e’ addirittura chi non esclude l’ipotesi delle dimissioni di Mas.
Lo scrutinio considerato un test a livello continentale, è stato seguito con grandissimo interesse in tutta Europa, e non solo nelle aree secessioniste, come Scozia e Fiandre, o anche le ‘regioni padane’.
Ma ora se la strada di Mas appare in salita gia’ a Barcellona, lo e’ ancora di piú al di fuori dalle frontiere della Regione, in Spagna e nell’Unione europea, dove le incertezze e i dubbi sono ancora piú numerosi. Per questo gli ambienti industriali catalani sono contrari all’indipendenza, mentre secondo un sondaggio solo il 37% degli abitanti è pronto ad un’avventura da soli, fuori dall’Unione europea.
Lo scoglio spagnolo, il primo da superare per organizzare il referendum, è già molto tagliente. Deve essere il Re a convocarlo, autorizzato dal Parlamento di Madrid, a sua volta convinto dalla Generalitat che si tratta di uno scrutinio indispensabile. Davvero difficile che possa succedere.
La legge votata dalla Catalogna teoricamente consente di indire un referendum nella regione, ma nel rispetto dell’ordinamento spagnolo, in base ad una costituzione che esclude qualsiasi secessione e addirittura la possibilità di votarla.
Lo scoglio europeo è ancora piú arduo da superare, come ricorda su El Pais Xavier Vidal-Folch, e questo potrebbe portare i due terzi dei catalani a votare contro l’indipendenza. Già ai tempi della presidenza di Romano Prodi, nel 2004, la Commissione europea aveva scritto, in risposta ad una interrogazione parlamentare, che un nuovo Stato indipendente si chiama automaticamente fuori dai Trattati. E ancora oggi e’ cosi’. Lo stesso vale per la Nato, perch‚ la nuova Catalogna indipendente dovrebbe dotarsi di (costosissime) forze armate. Quindi il nuovo ed eventuale Stato dovrebbe ripartire da zero, o quasi, con il rischio di seri aggravi dal punto di vista economico (anche escludendo i costi della crisi), in quanto Paese esportatore penalizzato da dazi anche verso la Spagna.
Anche una volta nell’Ue, per la Catalogna sorgerebbe la questione dell’adesione all’Eurozona. Fortemente indebitato, il nuovo Stato potrebbe non rispettare i criteri di Maastricht. Molto ricca, la Catalogna potrebbe rivelarsi un contributore netto al bilancio Ue, cioè pagare piú di quanto riceva. Nonostante la crisi, la regione si è confermata tra le regioni piú ricche dell’Ue, di cui rimane uno dei motori, e questo in parte grazie all’integrazione europea, nonostante il contributo giudicato eccessivo dagli indipendentisti allo Stato spagnolo, tra questi in prima fila lo storico ex presidente della Generalitat, Jordi Pujol.
Discussione su questo articolo