Le scaramucce in Senato sull’abolizione delle province spiegano a sufficienza perche’ Matteo Renzi abbia deciso di lasciare in anticipo il G7 e ritornare a Roma per riaprire rapidamente l’agenda delle riforme. La tenuta del suo programma e’ legata alla velocita’ di esecuzione di tutti i provvedimenti messi in cantiere dal governo: abolizione del Senato e delle province, lavoro, scuola, tagli fiscali. E’ un quadro in cui ogni elemento dipende dall’altro e sul quale si basa la credibilita’ dell’innovazione renziana.
Il fatto che il governo sia stato battuto due volte in commissione e che se la sia cavata per soli quattro voti sulle pregiudiziali di costituzionalita’ del ddl Delrio sulle province e’ un campanello d’allarme. Il segnale che il malumore cova sotto la cenere e che va ben presto placato non lasciando agli avversari il tempo di organizzarsi. Mentre il quadro internazionale si surriscalda, dalla Francia all’Ucraina (con Silvio Berlusconi che critica apertamente la politica delle diplomazie occidentali contro Putin), il premier punta a blindare il suo cammino innanzitutto all’interno del Pd. La Direzione di venerdi’ prossimo dovra’ discutere la linea di marcia su riforme e manovra economica: la minoranza guidata da Gianni Cuperlo ha fatto sapere che il partito non puo’ essere considerata una dependance al servizio del capo del governo.
La protesta della sinistra interna si incentra soprattutto sulla politica del lavoro e sui rapporti con le parti sociali ma questo rischia di aprire un fronte con il Nuovo centrodestra che proprio su questi due punti difende la filosofia del patto di maggioranza. Il Rottamatore per il momento tira dritto, convinto di poter imporre la sua strategia: ma il vero problema, come si e’ visto nelle votazioni in Senato sulle province, e’ invece nei gruppi parlamentari dove i renziani sono in minoranza. Una partita delicata perche’ a palazzo Madama basta un piccolo errore di calcolo, vista l’esiguita’ dei numeri, per determinare un disastro. Ecco dunque la necessita’ per Renzi di mettere subito in campo le misure promesse senza esagerare con i tagli (terreno sul quale le ”rifiniture” della manovra sono all’ordine del giorno).
Dal governatore di Bankitalia gli e’ giunta una mano: secondo Ignazio Visco per rispettare gli obiettivi di cui si e’ parlato in questi giorni non servono manovre correttive ma un solido percorso di crescita che potrebbe essere innescato anche dal rinnovato interesse degli investitori internazionali per il nostro Paese. Si tratta in parte di una vera e propria scommessa, anche nel tentativo di arginare l’ondata euroscettica partita dalla Francia e che minaccia di dilagare in Italia. Al di la’ delle dichiarazioni di principio, e’ chiaro infatti che le prossime europee non possono non essere considerate il primo vero test per il premier-segretario e per il suo progetto di ripresa economica. Lo stesso Renzi ha denunciato il rischio che la protesta dei cittadini europei contro i burocrati di Bruxelles e contro la politica di austerity della Germania finisca per travolgere lo spirito dei padri fondatori dell’Unione.
A maggio la competizione sara’ soprattutto con Beppe Grillo e con la Lega che minacciano di fare il pieno di voti a prescindere dalle alleanze con Marine Le Pen. Ma anche Berlusconi, a dispetto delle difficolta’ di Forza Italia, ha capito che esiste uno spazio per il centrodestra di opposizione. Percio’ esclude di essere condizionato da un ”cerchio magico azzurro” (”Di magico in Forza Italia ci sono solo io”), impone ai suoi di non dividersi sulle candidature, e rispolvera le sue vecchie intuizioni politiche (dai rapporti con la Russia di Putin alla denuncia delle contraddizioni e dei limiti delle politiche di austerita’). In realta’ anche per il Cavaliere le europee saranno un test decisivo: dovranno dimostrare se il partito e’ capace di tenere, pur orfano del suo capo carismatico, o se si dovra’ procedere ad una sua rifondazione. Per ora, nessuno sembra avere una risposta.
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