Lo ammetto: Alberto Melloni, come scrive , mi affascina. Mi affascina tanto (mi riferisco al suo pezzo sul Corriere del 10/10/)che devo leggerlo sempre due volte per poterlo apprezzare al meglio, nell’intento di non perdere le delicate sfumature dei suoi passaggi. Già altre volte lo commentai, avendo avuto in cambio un suo signorile chiarimento su alcune citazioni di importantissimi autori di cui disconoscevo l’esistenza, ma questa volta devo dire che, nell’ambito della celebrazione del Vaticano II, punta il dito (la penna) proprio sul tanto discusso tema sviluppatosi negli anni successivi a quel Concilio che divide il mondo cattolico tra: “contenti” – per l’apertura al mondo contingente – e “scontenti” -per paura di profondi cambiamenti.
Melloni, però, confuta questa divisione: egli dice, infatti, che la Chiesa di Papa Benedetto è solo piena di “sfumature, graduazioni, arretramenti che hanno ragioni e storie ben leggibili”. Poetica questa visione, ma non volendo fare io, una “palestra di fervorini”, riporto quanto ho già scritto qualche giorno fa a proposito del citato dubbio melloniano.
Giovanni XXIII si è inventato un Concilio perché aveva avuto il sentore che nella Chiesa operante, la “forma” si fosse divorata la “sostanza”, dimenticando di far leva esclusivamente e fondamentalmente sui contenuti dei Vangeli. Lo ha ribadito il Grande papa Ratzinger, ricordando che Il Beato Papa Giovanni sperava che il Concilio si manifestasse come una “nuova Pentecoste” la quale avrebbe fatto rifiorire la Chiesa nella propria interiore ricchezza a favore di tutti i campi delle attività umane comprese quelle istituzionali e spirituali con la partecipazione dei fedeli laici. In pratica: una nuova attiva “Evangelizzazione”.
Una cosa fu certa, però: sollevò diversi interrogativi: “fu un Concilio di discontinuità e rottura o di riforma? – ci si domandò poi -, considerando le diverse interpretazioni che emersero inevitabilmente e che portarono fedeli e non, a tirare conclusioni diametralmente opposte…
Purtroppo le grandi intuizioni storiche delle menti eccelse appartengono a personalità “pure e semplici” di spirito, come appunto Papa Giovanni. Egli ebbe la percezione tangibile che fosse giunto il momento in cui la Chiesa si rinnovasse nella propria attività contingente “di tutti i giorni”, aprendosi di più alla modernità del mondo civile che, scorrendo molto più velocemente, aveva creato un divario più che altro formale, di comunicazione reciproca, anziché sostanziale. L’aprire la porta ai movimenti civili ecclesiali, parlando con altre religioni e con i non-credenti era considerato, allora, un atto dovuto alla Chiesa, affinché essa stessa non si chiudesse ulteriormente in se stessa, senza poter dialogare esternamente, affrontando il rischio di diventare “muta” anche e soprattutto con lo stesso “proprio” mondo cattolico. In pratica era il momento di abbattere la Babele linguistica per poter riparlare una lingua sola.
Qui si innescarono, purtroppo, coloro i quali si appropriarono di quelle illuminate intuizioni innovatrici di dialogo, per esasperare la tendenza e dichiarare che finalmente, da quel momento, nella Chiesa, ognuno poteva agire secondo una propria interpretazione del Vangelo; che era sufficiente raffrontarsi anche tra religioni diverse e comunità di atei onesti in un Cortile dei Gentili e, tramite un sincretismo santificato ed avallato anche da alcuni eminenti prelati progressisti, salvarsi ed accedere nel regno dei cieli! La Teologia della Liberazione, per esempio, è stato un chiaro esempio di esasperata interpretazione della teologia “praticata” che ha inteso contrabbandare i valori cristiani in un rivoluzionario messaggio violento (ed assolutamente anticristiano) di giustizia sociale.
Come era prevedibile, a fronte di queste spinte di interpretazione social materiale del cattolicesimo, si sono formate esasperazioni dei cosiddetti tradizionalisti cattolici che hanno voluto mantenere, per paura, valide le regole preconciliari, intravvedendo nelle nuove esasperate diversificazioni rituali una forma letale per (secondo loro) tutto il “vero” cattolicesimo.
Compito della Chiesa, in sostanza, è semplicemente quello di dar fiducia e risolvere col proprio carisma i dubbi ancestrali dei fedeli, cioè: “Evangelizzare”! Papa Ratzinger nella propria battaglia contro il relativismo lo ha espresso molto bene il concetto: dialoghiamo con tutti (Egli ha continuato, come i suoi predecessori, gli incontri ad Assisi), ma il vero cristiano è tale se risolve il proprio dubbio esistenziale nella fede nel contatto diretto “biunivoco” con l’Altissimo. Qualsiasi altra strada ricercata forzatamente in un assemblearismo multi religioso o ateo social-ateo rivoluzionario porta inesorabilmente a “Devangelizzare” il sistema. Si devangelizza, quando si cerca di fare del dubbio esistenziale del credente, una generalizzazione sociale universale degli umani, assimilando ed integrando nel mondo dei cattolici tutti quelli che rispettano (almeno) otto dei dieci comandamenti. Non basta dire: “volemose bene”, solo perché il Concilio è stato di tutti: papisti e ribelli… Che sia chiaro: si salva chi ha fede in quel Signore che è morto in croce, non chi in nome “Suo” chiede la pace, l’equità sociale, l’ambiente pulito, il pane per i poveri, o fa qualche rivoluzione anti capitalista, … D’altronde “Egli” è stato chiarissimo: “Date a Cesare quel che è di Cesare!..” caro Melloni.
Discussione su questo articolo