Siamo in guerra. Gli attentati di Parigi hanno cambiato la nostra percezione del fenomeno jihadista. E per "nostra" intendo quella delle generazioni che non hanno conosciuto direttamente le tragedie collettive del Novecento e da anni vivono in un’Europa di pace e di libertà. L’orrore dei video in cui giovanissimi boia assassinavano senza battere ciglio decine di innocenti e minacciavano il mondo con proclami aberranti lo abbiamo metabolizzato riconducendolo inconsciamente alla drammatica e complessa realtà del Medio Oriente e del Nord Africa. Niente di più sbagliato.
I fatti di Parigi e ancor prima il disastro del Sinai ci hanno aperto gli occhi sulla portata del fenomeno e ci hanno mostrato chiaramente il pericolo concreto e imminente per tutto il mondo civile. Non ci si può più voltare da un’altra parte e fingere di non vedere. E non possiamo più pensare che ci siano in Europa e nel mondo luoghi in cui non esista il rischio di un’incursione di lupi solitari o di gruppi armati pronti a farsi esplodere in mezzo a noi al grido di Allah Akbar. Ci prendono alle spalle. Ci uccidono mentre siamo seduti al ristorante, mentre balliamo, mentre siamo allo stadio per guardare una partita. È la vita, la nostra vita che odiano. E ce la vogliono togliere.
Mentre la Grande Francia si mostra unita e determinata nella risposta collettiva ai vili attacchi, i piccoli uomini della politica italiana, divisi e scomposti nei commenti, lanciano invettive e cavalcano la paura per conquistare un titolo di giornale o una fetta di popolazione facile da fomentare. La morte e il terrore da noi diventano motivo di propaganda elettorale e di reazioni emotive squilibrate, quando sulla lotta al terrorismo servono unità, razionalità e decisioni politiche comuni.
Giulio Terzi, ambasciatore ed ex ministro degli Esteri, lo ha sottolineato: si prenda ad esempio la Francia, dove Hollande riceve Marine Le Pen, capo dell’opposizione, per sedersi a un tavolo insieme a lei e capire come lavorare uniti nell’interesse del popolo francese tutto. Dovrebbe essere sempre così, viene da pensare. Ma per motivi di casacca non accade mai. Dovrebbe essere normale amministrazione, invece è l’emergenza, è l’eccezione. Ma la strada da percorrere, se si vuole vincere questa guerra, è proprio quella dell’unità di intenti e della condivisione delle strategie.
In Italia quante menti ottuse e quante lingue ipocrite! Il tema del terrorismo non può non essere legato anche alla massiccia immigrazione che sta attraversando l’Europa e che può nascondere pericolosi infiltrati; e non può essere slegato dalla questione che riguarda la cittadinanza e lo ius soli. Terroristi con passaporto europeo colpiscono le nostre città e la nostra cultura, ma molti di loro sono cresciuti in casa nostra e ci fanno la guerra per distruggerci. Ci odiano, ci disprezzano, vorrebbero imporci le loro usanze medievali, ci considerano peccatori e ci riservano la sharia. Il mondo occidentale è sotto attacco e deve difendersi anche aumentando i controlli alle frontiere e riducendo i diritti, e solo se agirà unito in una coalizione internazionale dagli obiettivi comuni potrà vincere sulla barbarie.
Discussione su questo articolo