Non è una ‘controriforma’, ma anzi, dice Corradino Mineo, "è proprio la dimostrazione che non vogliamo mettere i bastoni tra le ruote, cosa che invece era molto facile fare con gli emendamenti". Fatto sta che nel dibattito sulla riforma del Senato e del Titolo V si apre anche un fronte interno al Pd, con la presentazione del ddl di Vannino Chiti e firmato da 22 senatori del Partito democratico, e nato dall’idea che, spiega ancora Mineo "abbiamo un problema molto grosso di bilanciamento dei poteri" rispetto alla proposta licenziata dal consiglio dei ministri.
Un Senato delle autonomie e delle garanzie, eletto a suffragio universale e composto da cento senatori, più sei senatori eletti nella circoscrizione Estero: questo in sintesi prevede, con una indennità per i senatori e il dimezzamento dei deputati, che diventerebbero 315. E Se Renzi dicesse di no? "E’ il Parlamento che deve farlo, non Renzi, siamo ancora senza vincolo di mandato".
Rispetto alla proposta di riforma licenziata dal consiglio dei ministri lunedì, quello della minoranza mantiene solo due dei paletti considerati imprescindibili (il principio del vincolo di fiducia solamente con la Camera e il superamento del bicameralismo paritario), per marcare invece una forte discontinuità su altri due punti fondamentali: quelli relativi a elettività e indennità dei senatori. La cui nomina tornerebbe a suffragio universale, e questo è il vero dato: "Noi pensiamo – spiega Chiti – che soprattutto in un momento di sfiducia come questo siano i cittadini che debbano scegliere chi fa il senatore se questo avrà un compito di garanzia. La democrazia regge se c’è sovranità da parte dei cittadini". Tornando il suffragio universale (nel ddl di Renzi il Senato era eletto sostanziamente dalle Giunte regionali e dai Comuni, ndr) si ripropone anche il tema delle indennità: "Siamo d’accordo sul fatto che vadano ridotti costi complessivi della politica – dice Chiti – Tanto che auspichiamo che le indennità di deputati e senatori siano equiparate a quelle del sindaco della capitale. Ma nella nostra proposta i deputati si riducono a 315 e i senatori a 106, mentre nella proposta del governo restano i 630 deputati: fate il conto e vedrete che la nostra proposta comporta maggiori risparmi: perché il governo non dovrebbe tenere conto di una proposta migliorativa?".
Una proposta che nasce dalla considerazione, sottolinea Felice Casson, che "un equilibrio costituzionale deve essere sempre garantito". Il ddl "non sarà un motivo di scontro, ma un modo per portare un contributo". In particolare "Preoccupa la possibilità che sia senatore un presidente di ragione o sindaco: per noi ognuno deve svolgere un solo ruolo. E’ impensabile, ogni regione dovrebbe aprire al suo interno un ufficio per il Senato con un conseguente raddoppio dei costi". A proposito di equilibrio e rappresentenza, Chiti pone poi l’attenzione anche sulla legge elettorale che dovrà regolamentare l’accesso al Senato. "Se il sistema con cui si elegge la Camera è, anche giustamente, maggioritario, il Senato che ha funzione di garanzia e raccordo coi territorio deve essere eletto dai cittadini e con il proporzionale. Altrmenti, se già la Camera avrà non più di cinque gruppi, il Senato rischia di averne tre. Non dobbiamo smarrire la preoccupazione di sempre, ovvero che la democrazia debba avere basi larghe, altrimenti si condannano le forze nuove che si affacciano alla politica a rimanere fuori dalle istituzioni e a diventare essere stesse anti-istituzionali".
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