Chiudono tutte le scuole in Puglia per evitare che il coronavirus continui a correre e a contagiare. Pierluigi Lopalco, epidemiologo ed assessore regionale alla Sanità, in una intervista a La Stampa, parlando proprio dello stop delle lezioni in presenza da oggi nella sua regione, ha detto: “La scuola è un aggregatore sociale e, a prescindere se il contagio avvenga nelle aule o al di fuori, rappresenta un fattore facilitante per la diffusione del virus”. Dunque fermare la didattica in presenza per tutti gli studenti pugliesi è stata una decisione “sofferta ma necessaria”.
“Con i 716 nuovi casi di ieri, la Puglia ha raggiunto la soglia dei 10mila positivi – spiega -. A marzo-aprile avevamo appena superato i 4mila. Purtroppo bisogna anticipare le mosse del virus, non inseguirle. La decisione di interrompere momentaneamente la didattica in presenza, sofferta quanto necessaria, ha un fondamento epidemiologico e pragmatico e cioè mitigare l’impatto della pandemia. Le attività scolastiche, oltre a rappresentare di per sé un rischio di diffusione virale, per tutto quello che avviene prima, durante e dopo la scuola, hanno nelle ultime settimane registrato un numero di casi tale che ci ha indotto a prendere questo provvedimento”.
Lopalco aggiunge che “da quando è partita l’attività didattica, il 24 settembre, abbiamo registrato 1121 casi di positività fra la popolazione di età 6-18 anni, l’11% del totale. Questa percentuale era del 6% nella settimana dal 17 al 22 settembre e dell’8% nella prima settimana di apertura della scuola. L’aumento della proporzione di casi in quella fascia di età è, dunque, sicuramente contemporaneo alla riapertura della scuola”.
Al ministro Azzolina, che punta il dito contro il deficit di gestione della sanità, replica: “Chiedo alla ministra Azzolina di evitare atteggiamenti inutilmente ideologici nei confronti della didattica in presenza a tutti costi. La gestione sanitaria dei casi comparsi nelle scuole ha generato un carico di lavoro enorme: migliaia di persone in isolamento fiduciario di almeno 10 giorni per contatto stretto, con tutti i disagi a carico delle famiglie, specie quando in quarantena finiscono i più piccoli. Ma significa anche migliaia di ore di lavoro per gli operatori dei dipartimenti di prevenzione, perché devono effettuare i tamponi, la sorveglianza sanitaria e le attività di tracciamento, a cui si aggiunge l’impatto sui laboratori per l’analisi dei tamponi. Inoltre nelle ultime settimane i pediatri sono stati presi d’assalto dalle centinaia di genitori che avevano bisogno dei certificati per la riammissione a scuola dei figli”.