Il 14 nov 2009 pubblicai su “Italia Chiama Italia” nell’ambito dell’articolo titolato: “Maxxi, Teca, Auditorium” il seguente concetto: “ …Francamente ho aspettato a criticare il MAXXI, in quanto, quando definii la Teca di Meier che ricopre l’Ara Pacis a Roma "un bell’impianto di servizio carburante con garage", mi diedero dell’oscurantista, retrogrado, non amante dell’architettura moderna, … addirittura del novello Sgarbi, ma quando ho letto che il super critico Bonito Oliva ha definito quel “Museo”: “Una scultura architettonica, una grande forma percorribile e tridimensionale caratterizzata dal temperamento di Zaha Hadid…” , posso assicurare serenamente che con un Museo, questo MAXXI non ha nulla, ma proprio assolutamente nulla a che fare… Il fine dell’opera, infatti, non è piacere alla gente, che non capisce niente, ma far parte di una gestione mercantesca dell’arte…” (Ripeto: scritto nel 2009).
Per esempio l’Auditorium di Piano (capannone di lastre di metallo sconnesse) è stato chiamato subito dai romani: ”bacarozzo”! A Foligno c’è stata una rivolta popolare contro un “Cubo-Chiesa” di cemento armato del grande Fuksas. A Ravello, nella splendida Costiera amalfitana c’è un Bunker antiatomico che dovrebbe essere un auditorium capolavoro del grande Niemeyer (brasiliano, ma pare: mai venuto a vederlo). Un lavoro non può essere considerato un’Opera d’arte a prescindere, solo perché l’ha fatto questo o quel famoso artista… Questo è provincialismo culturale.
Quando Maria Laura Rodotà, sul Corriere di Roma del 26 luglio, cita il MAXXI positivamente, esaltandolo sol perché tutta l’accolita dei Grandi critici d’Arte (che ovviamente non si “mozzicano” tra di loro) hanno decretato che è un’opera d’arte, commette una grande atto di sottomissione culturale. Tutti, tutti (anche i non-professoroni) invece, si domandarono immediatamente a cosa servisse quell’edificio, visto che quella conformazione strutturale non permetteva una utilizzazione museale! Ed ora ci si chiede candidamente: cosa caspita ce ne facciamo? A chi lo diamo? Si tirano in ballo i keynsiani, i board of trustees, o i sognatori della cultura! Si riciclano i festival o le feste con i lucchetti dell’amore? Queste sarebbero le strategie finanziarie per la gestione della cultura? Prima si costruisce qualcosa a caro prezzo e poi si pensa a cosa possa servire? O dietro a questa improvvisa presa d’atto che il MAXXI non serve assolutamente a niente, si nasconde qualche manovra per la quale lo si vuole svendere a due lire a qualche amico degli amici di qualcuno?
Come commento finale mi viene in mente solo l’espressione usata da Fantozzi di fronte alla Corazzata Potomkin, e poi: “Aridateci li sordi” dicono a Roma!
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