Pima di ogni match Claressa Shields va nel suo angolo e si mette a pregare. «Se Dio vuole che vinca l’oro a Londra niente mi fermerà» ripete. Nel team USA di pugilato negli ultimi 40 anni non c’è mai stato un atleta così giovane: Claressa ha 17 anni e sarà anche la più ‘piccola’ di tutte le partecipanti nella debuttante boxe olimpica femminile, nonostante gareggi nella categoria dei medi (75 chilogrammi). Ha una vita da raccontare Claressa Shields: nata a Flint, nel Michigan, la città numero 1 degli USA per i crimini violenti (2.337 per 100.000 abitanti), ha un padre che faceva boxe per strada, quando non era in carcere (da bambina non l’ha mai quasi visto), ma è stato lui, parlandole di Laila Ali, a farla entrare nel mondo della boxe, anche per cercare di allontanarla da quella vita fatta di povertà e criminalità. Ma aveva anche cinque anni Clarissa quando un vicino di casa, che la accudiva mentre la madre era al lavoro, l’ha molestata sessualmente. Nella sua carriera (27 incontri) ha perso solo una volta, alle qualificazioni olimpiche, una sconfitta che poteva costarle i Giochi, ma che ha visto come un messaggio di Dio: una esperienza che ci voleva, per capire che nulla è scontato. Come quest’altra storia. Da modella di successo, alla cocaina, all’anoressia: sembrava tutto ineluttabile per Dotsie Bausch e a un certo punto, lei alta 175 centimetri, è arrivata a pesare appena 40 chilogrammi. Sulle passerelle di New York Dotsie era famosa negli Anni Novanta, ma quella spirale ormai fuori controllo a un certo punto l’aveva portata a pensare anche al suicidio. Nata nel Kentucky, la Bausch aveva 25 anni quando decise che era arrivato il momento di cambiare: «Ma all’inizio lo feci solo per la mia famiglia». E il ciclismo le ha salvato la vita. Adesso che di anni ne ha 39 Dotsie è pronta per la sua prima Olimpiade: gareggerà nella squadra USA femminile di inseguimento. «È stato un viaggio che mai avrei immaginato di poter fare – ha raccontato – e tanto meno di arrivare poi fino ai Giochi». La Bausch all’inizio partecipava a pedalate di beneficenza, non competitive, ha percorso 877 km in mountain bike da San Francisco a Los Angeles, nel 2002 per la prima volta ha cominciato a far parte della nazionale americana, ma solo nel 2007 è passata alle competizioni su pista. Ma non ha dimenticato il passato: offre il suo aiuto a quelle donne che soffrono di disturbi del comportamento alimentare e che cercano di ritrovare una nuova vita, come ha fatto Dotsie.
Povertà, ricchezza, ma anche per chi ha una famiglia andare alle Olimpiadi può rappresentare una piccola impresa. Amy Acuff si era ritirata nel 2009, dopo i Mondiali, poi ha dato alla luce la sua bimba, Elsa, che ora ha due anni e adesso sarà a Londra. Tutto normale se non fosse che la Acuff, che gareggia nel salto in alto, ha 37 anni ed è alla sua quinta avventura olimpica e anche se è presto per parlarne, vorrebbe esserci anche a Rio nel 2016. «È un segreto da poco – ha detto la saltatrice texana – ma dopo che hai avuto un bambino ti senti meglio di prima, non so esattamente il perchè». Miglior piazzamento il quarto posto del 2004, la Acuff si sente davvero più forte: «Ho ricominciato ad allenarmi poco più di un anno fa – ha rivelato – ma solo per mantenermi in forma, poi sono diventata curiosa di vedere se potevo gareggiare ancora». E c’è riuscita conquistandosi addirittura un posto per i Giochi.
Anche il Texas, dopo il Michigan, ha la sua storia legata al pugilato. Nel 2000 Marlen Esparza mai avrebbe potuto pensare che il 2012 sarebbe stato l’anno del debutto olimpico per la boxe femminile, e tanto meno che ci sarebbe stata anche lei. Marlen all’epoca aveva solo 11 anni quando un giorno a Pasadena, nel Texas, si infilò dentro una palestra e si avvicinò a Rudy Silva, che poi è diventato il suo coach, mentre stava preparando dei pugili. Silva la mandò via, ma lei il giorno dopo tornò e si mise a tirare pugni al sacco in una maniera che colpì il burbero trainer il quale le garantì che l’avrebbe allenata, ma come un ragazzino, in cambio Marlen doveva promettere che sarebbe tornata a scuola. Adesso ha 23 anni Marlen Esparza, peso mosca, ai Giochi ci è arrivata anche sull’onda di un servizio su Vogue, magazine della moda che raramente si avvicina alla boxe: guantoni e un sexy vestito rosso che non può passare inosservato. Ma è soprattutto il suo record impressionante: la Esparza nella sua carriera ha combattuto 71 incontri e ne ha persi solo due, il 97% di successi. Certo non si può paragonare la boxe femminile a quella maschile, ma per Marlen una eccezione si può fare e allora Cassius Clay, prima di diventare Muhammad Ali da dilettante ha avuto il 93% di vittorie come Mayweather mentre Tyson si è fermato all’89%.
L’ultima storia al femminile è dedicata a un’atleta davvero speciale… Perchè Lolo Jones, ostacolista americana, l’apice della sua popolarità l’ha raggiunta da quando, il mese scorso, in un’intervista ha rivelato che «mantenere la verginità è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto, più difficile anche di allenarsi per le Olimpiadi». Adesso Lolo, trent’anni il prossimo 5 agosto (e nessun dubbio: è una bella ragazza) si è anche conquistata una delle cinque copertine olimpiche di Time, dove sono sempre le donne a farla da padrone: nell’edizione USA oltre alla Jones anche la ginnasta Gabby Douglas e, unico uomo, il nuotatore Ryan Lochte, per l’Europa e l’Africa l’eptatleta britannica Jessica Ennis e infine per l’Asia la calciatrice giapponese Homare Sawa.
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