Secondo la Cgia di Mestre il vero peso della Manovra Economica è di circa 63miliardi, e considerando anche le precedenti misure varate dal governo Berlusconi, ogni famiglia nel triennio 2011-2014 dovrà sborsare circa 2mila euro in più all’anno. Ma una Banca può fallire? E uno Stato? Perché c’è il Debito pubblico e perché accadono le crisi?
Molti analisti economici hanno parlato di ingegneria finanziaria, perché è talmente complessa la materia che davvero tutti gli strumenti economici e finanziari presenti nel Mondo fanno parte di artifizi degni di essere definiti di "massimo ingegno". La verità è che c’è il fondatissimo sospetto che la grande crisi del 2008, così come quella del 1929, siano state volute da chi governa Stati sovrani. In 40 o 50 tra banchieri, politici e colossi della finanza internazionale che decidono il futuro della popolazione planetaria.
Se l’economia avesse un funzionamento logico non staremmo neanche qui a parlare di certe tematiche. Se fossimo padroni e sovrani della nostra moneta stamperemmo a credito e non a debito, quindi non dovremmo restituire nulla alla Bce, né pagheremmo alcun tipo di interesse (che tra l’altro non esiste, perché mai stampato materialmente) ogni qual volta immettiamo liquidità nel sistema monetario. L’unico costo che sosterremmo corrisponderebbe a quei pochi centesimi per carta, filigrana e manodopera. Una sciocchezza rispetto al 20% pagato dall’Italia sui Titoli di Stato alla fine degli anni ‘80 e sull’8% pagato oggi, pesantissimo considerando l’impossibilità di gestire autonomamente l’emissione di moneta, e quindi trovandoci di fronte a rubinetti chiusi da un lato e a dover sborsare comunque in qualche modo moneta dall’altro.
Passando alle Banche direi di no: Una Banca non può fallire. Primo perché non è previsto dall’ordinamento, visto che al massimo si procede per "Liquidazione coatta amministrativa", quindi la giurisprudenza non prevede il negozio giuridico del fallimento. Secondo, sono questi Istituti oggi sovrani della Moneta e potrebbero teoricamente stampare quanta moneta serve non trovandosi mai in ristrettezza. E qui c’è il trucco, perché quando Bce, Federal Reserve e Bank of England stampano moneta, questa viene imputata nei conti economici come "costo", riducendo drasticamente i profitti. La stessa cosa vale per le Banche nazionali, che reperendo sul mercato primario moneta (nel circuito virtuale in cui tutte le Banche si prestano denaro in base alla fiducia), nel momento in cui si approvvigionano e quindi "comprano" liquidità, questa è imputata come spesa. Ecco perché oggi troviamo sui giornali titoli che parlano di "sofferenze nei conti bancari". In realtà questo problema non esisterebbe se si prendesse atto che l’emissione di moneta è creazione di ricchezza, e non di un costo. Tuttavia sono fenomeni che difficilmente cambieranno, perché la politica è al soldo delle Banche. Oggi non viviamo in Democrazia ma nel libero mercato, e la causa del dissesto è imputabile al fatto che sia il secondo (il mercato) a dettare legge.
Per quanto detto, è ovvio che ogni riforma sia un palliativo. Ogni crisi è un gigantesco esproprio proletario ai danni delle masse per portare in dote ad una elite estremamente minoritaria la ricchezza (reale) raccolta. Insomma, una Banca non ha interesse nel ricevere indietro moneta, carta straccia riproducibile all’infinito che non ha alcun valore intrinseco (come accadeva prima del corso forzoso, quando la moneta era convertibile in oro); ma ha invece interesse nel ricevere beni, proprietà, ricchezza tangibile presente in economia.
Il Fondo Monetario, il fondo Salva Stati, l’acquisto da parte della Bce del nostro debito, sono tutti marchingegni per spostare il Debito da uno Stato ad un Fondo, per poi trasferire ancora da quel Fondo in un altro calderone. E’ come se spostassimo povertà da un punto all’altro senza mai riassorbirla. La bolla è chiaro che prima o poi esploderà nuovamente.
L’unica soluzione all’orizzonte è il ritorno a battere conio nazionale, che si chiami lira o euro l’importante è che non sia firmata "Banca d’Italia" ma "Repubblica Italiana", così come accadeva prima dell’82, tornando padroni di ogni strumento di politica monetaria e con un nuovo regolamento e una nuova disciplina, che facciano sì che la moneta emessa sia a credito e non più a debito. Serve rigidità e norme costituzionali che vincolino lo Stato al pareggio di bilancio (oggi impossibile nonostante sulla carta si voglia attuare) e alla impossibilità di violare i patti generazionali lasciando il carico di oggi alle leve del domani. Se gli Stati riassumessero coscienza di spesa in modo tale che non si vada mai oltre ogni impegno insaldabile, è certo che nel giro di 20 o 30 anni cominceremmo una nuova era, più sobria, sana ed equilibrata, senza più la oggi tanto temuta speculazione finanziaria.
Lo Stato deve guardare al funzionamento di una qualunque impresa commerciale. Se un Padre lasciasse in dote al figlio un’impresa con decine di milioni di passività, questa persona cosa farebbe? Sicuramente non accetterebbe l’eredità e metterebbe in liquidazione l’azienda. Ecco che allora i nostri figli non ancora nati, non avranno la possibilità di accettare o meno l’eredità, e si troveranno con 30mila euro o più di debito sulla testa appena venuti al mondo. Ritroviamo la cosiddetta diligenza "del buon padre di famiglia", rifondando questa Italia.
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