Un disco in inglese e un album di liscio: sono questi i futuri progetti di Jovanotti, come lui stesso rivela a notte fonda in un ristorante di Ancona, subito dopo la prima data del Backup Tour, il suo primo negli stadi. ‘Con la mia etichetta americana – rivela – ci piacerebbe realizzare un disco in inglese. Vorrei scrivere qualcosa, non tradurre le mie canzoni. Sono andato negli Stati Uniti anche per migliorare l’inglese, ora mi sento pronto a mettermi alla prova in questo senso’. Per Lorenzo non si trattera’ di un progetto ‘pop, ma sara’ qualcosa in una forma diametralmente opposta. Io qui in Italia ho una ‘forchetta’ molto ampia, negli Usa dobbiamo stringere tanto, fare un disco con un suono solo, ma lo devo ancora trovare’.
Appena sceso dal palco dello stadio del Conero, dove ha fatto ballare oltre 20 mila persone, racconta: ‘In fin dei conti ho sempre fatto musiche per le feste. Sono partito da una discoteca, il Veleno di Roma, che quando era piena c’erano 140 persone. Il mio punto di partenza e’ quello. Non avrei mai immaginato di scrivere un brano come ‘A Te”, confessa.
In scaletta ha inserito anche la hit Gimme Five, che prima di ieri sera non aveva mai cantato dal vivo. ‘L’ho scritta a 19 anni quando non avevo altra intenzione che far divertire. Con quel brano sono avanti 7/8 anni rispetto ai Daft Punk’, dice sorridendo riferendosi al duo elettro-dance francese ai vertici delle classifiche mondiali. ‘Ai ragazzi dico sempre iniziate con la dance, perche’ vi mette in contatto con la gente. Oggi la dance e’ un grande fenomeno, destinato secondo me ad espandersi’. E il pop? ‘E’ una figata – risponde – E’ la cultura del Novecento, una grande invenzione che rimarrà, lascera’ qualcosa’. Rivela poi che in scaletta, dopo l’omaggio a Modugno (ha cantato qualche nota di L’uomo in frac dopo brevi omaggi anche a Dalla Ligabue, Fossati, e Venditti) ‘volevo mettere La notte vola della Cuccarini, per fare un finale piu’ pop. Lo faro’ la prossima volta’. Il concerto si e’ aperto sulle note di Django, ‘in realta’ – spiega – e’ Lo chiamavano Trinita’ di Micalizzi. A distanza di tanti anni, Trinita’ regge, Professione reporter o Zabrinski Point no. Cose che erano ridicolizzate, ora risultano fighissime’. E poi rivela: ‘Adoro il liscio, la polka, la mazurka. Il mio sogno e’ fare un giorno un disco di liscio’.
Qualcuno vorrebbe portare il discorso sulla politica e chiede se il governo a suo avviso reggera’. ‘Non ne ho proprio idea’, risponde. Ma parla volentieri del futuro dei giovani: ‘Giorni fa sono stato invitato all’universita’ di Palermo per una lezione di comunicazione musicale. Sono venuti in seimila. Pazzesco, erano di tutte le facolta’. Ma questi ragazzi non li racconta nessuno. La vera difficolta’ e’ trovare qualcuno che dia una speranza, che dica qualcosa che rompa il meccanismo della lamentela. Io di fronte a loro, sono imbarazzato, vorrei dire loro siete giovani, potete fare quello che volete. Certo, dovete pero’ essere disposti ad affrontare sfide nuove e difficili. Ma – sottolinea – nessuno piu’ potra’ garantirci un lavoro. Il futuro non puo’ essere fatto di garanzie’. Si chiede: ‘Con chi ce la possiamo fare per uscire da questa crisi cosi’ profonda? Con i ragazzi – risponde -. Ma ho la sensazione che ci sia la tendenza a sminuire i loro potenziali’.
‘Io – aggiunge – sono uno che vota a sinistra, e questi sono i temi della sinistra, come l’inclusione sociale. L’idea della decrescita felice e’ una follia. Un Paese deve stare nella globalizzazione. La decrescita felice e’ un evento personale, privato, non puo’ essere una politica’. Vive da mesi a New York dove, racconta, ‘il quarto luogo piu’ visitato e’ Eataly. Noi abbiamo una risorsa gigantesca. In tv negli Usa – conclude – spadellano dalla mattina alla sera. Una cosa incredibile’.
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