Uno ad uno, quasi tutti i Comites dell’Argentina stanno cambiando sede. Abbiamo pubblicato, qualche settimana fa, il comunicato di Marcelo Romanello, consigliere del Cgie e del Comites di Mendoza (del quale fu presidente in un periodo precedente) spiegando le ragioni che hanno portato il Comitato a trasferire la sua sede presso una associazione italiana di Mendoza. Una decisione poi rientrata, come ha annunciato lo stesso Romanello, ma le considerazioni fatte allora restano valide.
Stessa strada hanno seguito o seguiranno i Comites di La Plata e di Lomas de Zamora, che hanno trasferito le loro sedi in quelle offerte da associazioni italiane di quelle città.
Caso diverso per il Comites di Buenos Aires. Infatti, continua ad avere la sua sede presso il Consolato generale d’Italia a Buenos Aires, ma non ha più fondi per pagare una segretaria, ragion per cui non può ricevere il pubblico se non previo appuntamento con la presidente Laino.
Come è noto, i Comites hanno superato abbondantemente il loro periodo di vita, che la legge stabilisce in cinque anni. Le elezioni per il rinnovo averebbero dovuto tenersi nel 2009, ma successivi rinvii, motivati con la mancanza di fondi e con la volontà di modificare la legge istitutiva, hanno portato all’attuale situazione. Ci troviamo, infatti, con Comites i cui consiglieri hanno i loro mandati scaduti da tempo, ma che sono tenuti nella legalità, da successive proroghe.
Ma il peggio è che oltre alla mancanza di adesione alla regolarità istituzionale, subiscono una forte limitazione alle proprie attività, a causa della riduzione dei fondi che la legge prevede per consentire il loro funzionamento, hanno subito forti tagli (come del resto tutti i capitoli destinati agli italiani all’estero) che rendono difficile lo svolgimento della loro missione.
Ci troviamo quindi di fronte a due gravi condizionanti: la prima è la mancanza di legittimazione politica attraverso le elezioni, rinviate di anno in anno e con esse, anche il rinnovo del CGIE, i cui consiglieri sono eletti dai consiglieri dei vari Comites; la seconda è costituita dalla mancanza di fondi sufficienti per consentire a questi organi di rappresentanza delle nostre collettività, di svolgere le loro attività. Fondi che servono per sostenere attività di assistenza nei confronti dei più bisognosi, ma che servono anche per pagare un affitto, le tasse e i servizi e le spese di segretaria, di posta e altre ancora, compreso un bono di presenza, che oggi non paga quasi nessun Comites. Ma a forza di ridurre, alcuni hanno dovuto rinunciare alla sede, altri alla segretaria, altri alle altre attività. A questo stato di cose si è arrivati a causa della crisi economica che si è abbattuta sull’Italia e sull’Europa a partire dal 2008. Una crisi che ha avuto momenti di gravi sussulti ed oggi stesso sembra stare all’apice della sua forza. Come è noto, per combatterla, per riportare i bilanci in una zona di stabilità, sono stati ridotti molti capitoli di spesa, e sono state aumentate tasse e contributi. In una situazione simile, non è stato facile per chi ha a cura le sorti degli italiani all’estero e, nello specifico, quelle degli organi di rappresentanza, di reclamare maggiori fondi o, almeno, meno tagli.
A questa situazione però, si arriva soprattutto come conseguenza di una politica che ha osteggiato gravemente i rapporti con gli italiani all’estero e ha colpito le politiche nei loro confronti, in modo speciale con la nostra struttura di rappresentanza. La responsabilità di questa mancanza è del governo Berlusconi e del sottosegretario agli Esteri al quale è stato incaricato il rapporto con gli italiani all’estero, il sen. Mantica. Ma non tutte le colpe sono del governo Berlusconi e della crisi europea. Si arriva perché col passare degli anni senza elezioni, ma rimanendo comunque in carica, tanti consiglieri di vari Comites (non tutti e non di tutti) hanno dimenticato che sono stati eletti per rappresentare la collettività e non loro stessi. Diventati autoreferenziali, credono di essere i soggetti del rapporto e invece sono uno strumento, attraverso il quale le comunità comunica con il rappresentante dello Stato, che è il console. In altre parole, non pochi consiglieri hanno smarrito il senso della loro missione, rendendo ancora più ininfluente la loro attività. Sul loro futuro ci sono tante voci, tante versioni, ma di concreto c’è poco. L’ultima possibilità prospettata dal governo, è di un ulteriore rinvio, con la possibilità di far svolgere le elezioni in contemporanea con le elezioni politiche, anche se i consoli sono in disaccordo perché creerebbero confusione. Alla Farnesina hanno detto che se fosse così, i fondi – insufficienti – destinati quest’anno alle elezioni, potrebbero essere destinati allo svolgimento di altre iniziative. Sembra difficile. Ma intanto i consiglieri dei Comites e quanti aspirano a succederli farebbero bene a riflettere sulla continuità degli organi di rappresentanza, su cosa dovrebbero fare e su come potrebbero finanziarsi. La mancanza di fondi non può più essere un alibi per non far funzionare i Comites e il Cgie. Nè per Roma nè per gli stessi consiglieri dei Comites.
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