La Grecia tiene col fiato sospeso i mercati del mondo intero. Cosa accadrà ad Atene dopo il referendum di domenica? Difficile dirlo, anche se più avanti, in questo articolo, proveremo a mettere nero su bianco le varie ipotesi. Intanto in terra ellenica è guerra a colpi di dichiarazioni, tra chi invita i greci a votare no al referendum sul piano di salvataggio dei creditori internazionali e chi invece li esorta a votare sì, perché “è un referendum sull’euro”.
TSIPRAS E’ sceso di nuovo in campo in prima persona il premier greco Alexis Tsipras, esortando in tv gli elettori greci a dire di "no agli ultimatum, ai ricatti e alla campagna della paura". "E’ giunto il tempo della responsabilità e della democrazia. Quando il popolo può tenere il suo futuro nelle proprie mani non deve avere paura" ha detto. E ancora: "Votare no non significa rompere con l’Europa, ma continuare i negoziati in termini migliori per il popolo greco".
Tsipras ha rilanciato chiedendo un taglio del 30% del debito su 20 anni, in modo da renderlo sostenibile. In questo modo, secondo lui Atene ce la farebbe. Ma il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, alla conferenza stampa per l’inizio della presidenza di turno lussemburghese del Consiglio, ha avvisato: "Se i greci voteranno no, la posizione greca ne sarà drammaticamente indebolita". Gelido anche il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble che in risposta alle promesse di Tsipras di chiudere in 48 ore un accordo in caso di vittoria del "no" ha detto. "Eventuali nuovi negoziati con la Grecia richiederanno del tempo".
SAMARAS L’ex premier greco Antonis Samaras, conservatore, ha invitato oggi a votare sì nel referendum di domenica dicendo che servirà a evitare l’uscita del Paese dall’euro. "Domenica votiamo sì o no all’euro, non votiamo a favore di una o un’altra proposta", ha affermato Samaras in un messaggio televisivo. L’ex premier ha accusato Syriza di mentire, accusando anche il partito di Alexis Tsipras di avere provocato la divisione della popolazione.
"Invito tutti i greci a recarsi alle urne uniti e, votino quel che votino, a rimanere uniti il giorno dopo, perché non votiamo solo per l’euro, votiamo per la Grecia, per una Grecia forte", ha affermato Samaras. Per oggi sono previsti due grandi cortei, uno a favore del ‘sì’ organizzato da imprese e sindacati, e uno a favore del ‘no’, organizzato da Syriza.
IL PUNTO I cittadini greci sono chiamati domenica alle urne per un referendum che avra’ conseguenze non solo sulla Grecia ma sulla stessa Europa. Difficile al momento fare pronostici, nei sondaggi il "si’" e il "no" viaggiano appaiati e il 15 per cento circa dei votanti si mostra ancora indeciso. Il governo ha deciso di porre le due opzioni di voto non l’una accanto all’altra, ma una sopra e l’altra sotto, posizionando in alto la cella "oki" ovvero no. Sabato scorso, annunciando la rottura delle trattative con i debitori, il premier greco Alexis Tsipras aveva spiegato che la decisione era stata presa sia per dare modo ai cittadini di esprimersi in nome della democrazia, sia per potersi presentare, dopo l’eventuale vittoria del no, al tavolo delle trattative legittimato e rafforzato dal voto. Nel corso della settimana pero’ lo scenario e’ cambiato ed ormai il voto e’ diventato, in pratica, legato a due opzioni: rimanere o meno nell’Unione europea; continuare a rimanere nell’euro o tornare alla dracma.
Un referendum non ammette compromessi, o vince una parte o l’altra, e cosi’ la Grecia ha ora davanti a se’ due strade divergenti tra loro. In caso di vittoria del no il paese ellenico sarebbe fuori dall’Europa e dall’euro. A quel punto sarebbero infatti i creditori a chiudere la porta ad Atene per giungere ad un nuovo salvataggio. La libera circolazione dei capitali sarebbe sospesa ed Atene dovrebbe immettere quanto prima sul mercato le nuove dracme, e le banche elleniche non riceverebbero piu’ gli aiuti necessari a garantirne la sopravvivenza ed anzi i creditori internazionali potrebbero chiedere l’immediato rispetto delle scadenze concordate, provocando l’immediato default del paese. La Grecia attualmente deve restituire ai suoi creditori 281 miliardi di euro, piu’ del suo stesso Prodotto interno lordo; di questi 131 dovranno andare al Fondo europeo di stabilita’, altri 87 miliardi invece spettano a investitori privati e singoli stati europei.
Anche per l’Europa pero’ le conseguenze di una vittoria del no potrebbero essere pesanti. L’uscita della Grecia potrebbe dare slancio a tutti i movimenti anti europeisti o anti euro dei paesi che compongono la Ue, mutando profondamente il quadro politico internazionale. La vittoria del no potrebbe quindi suggerire a Bruxelles di accelerare il crollo di Atene per frenare la crescita dei partiti euroscettici, mostrando le conseguenze di un abbandono dell’Unione e della moneta unica. Scenari ovviamente molto diversi in caso di successo del si’. L’esperienza del governo Tsipras sarebbe al capolinea e per la Grecia si aprirebbero nuovi scenari politici. Scontata, o quasi, la formazione di un governo tecnico per far ripartire le trattative con Bruxelles ed il Fondo monetario internazionale (Fmi), e lo sblocco degli aiuti destinati ad Atene, circa 16 miliardi di euro, 1,8 dei quali relativi al fondo di stabilita’ finanziaria, 10,9 miliardi provenienti da un fondo di stabilita’ per le banche greche e in oltre 3,5 miliardi in profitti delle banche centrali.
Voci ricorrenti per il nuovo governo indicano nel governatore della Banca centrale greca ed ex ministro delle Finanze durante il governo di Antonis Samaras nonche’ membro del Bilderberg, Yannis Stournaras, il successore di Alexis Tsipras alla guida del paese. A quel punto il governo tecnico per avere i voti in parlamento dovrebbero ricevere anche il sostegno della parte piu’ moderata di Syriza e di Greci indipendenti (Anel), considerando che il partito di estrema destra Alba dorata non ne sarebbe chiamato a far parte. Con la formazione di un nuovo esecutivo piu’ europeista le trattative si riaprirebbero e a quel punto e’ facile ipotizzare che i creditori avanzino dilazioni maggiori rispetto a quelle imposte a Tsipras. Le richieste ovviamente sarebbero sempre quelle di nuovi tagli alle pensioni, obiettivi rigidi di avanzo primario, una dura riforma fiscale, tagli alle spese militari, privatizzazioni e liberalizzazione del mercato del lavoro e revisione dell’Iva per legata al settore turistico.
La vittoria del si’ potrebbe permettere ad Atene di ottenere nuovi aiuti immettendo anche nuova liquidita’ sul mercato interno, rafforzerebbe l’euro e ridarebbe nuovo slancio all’integrazione europea. La posta in gioco, quindi, e’ molto alta sia in un senso che nell’altro, con i 9,85 milioni di greci chiamati alle urne domenica che decideranno non solo il futuro di Atene, ma anche quello dell’Europa.
SPREAD – L’esito del referendum greco che si terrà domenica prossima è più che mai incerto. Un’incertezza che emerge dai sondaggi, che parlano di un testa a testa i "sì" e i "no". Di esito incerto parlano anche alcune case d’affari, tra cui Goldman Sachs, che si dice, tuttavia, convinta che la Grecia in ultima analisi rimarrà nell’area euro, anche in caso di vittoria dei ‘no’. Nel report la banca analizza i possibili impatti sui mercati azionari e sugli spread. Secondo gli esperti della banca americana ciò che conta è l’impatto che il risultato del referendum avrà sulla politica nazionale ellenica. La vittoria dei ‘Sì’ porterebbe, infatti, a un immediato cambio di governo e a un rapido riavvicinamento con i creditori che sarebbe "market friendly".
Al contrario, un prevalere dei ‘No’ e un lento riallineamento politico peserebbe sui mercati, anche se la Bce sarebbe pronta a contenere qualsiasi effetto contagio. In "caso di sorprese negative", per Goldman Sachs si assisterà a un allargamento degli spread a quota 200-250 punti base (con il rendimento del Btp decennale italiano visto al 3%). In caso contrario, e quindi di fronte a una vittoria dei ‘sì’, gli spread (Btp/Bonos) dovrebbero scendere a 120 – 100 punti base (circa 30-50 punti base in meno rispetto ai livelli attuali). "Gli investitori probabilmente anticiperanno un cambiamento politico, seguito da aggiustamenti fiscali e strutturali e un’ulteriore ristrutturazione del debito pubblico. Tuttavia, ci vorrà tempo prima che questo si concretizzi, e i prezzi potrebbero rimanere volatili".
LE TAPPE VERSO UN POSSIBILE DEFAULT Il dialogo tra Atene e Bruxelles si e’ interrotto da una settimana e ogni contatto e’ sospeso fino a domenica notte, quando si conosceranno i risultati definitivi del referendum che si svolgera’ durante la giornata. Sebbene nessuno si spinga a dare indicazioni su un’agenda possibile per la prossima settimana, e’ molto probabile che il giro delle consultazioni riparta da lunedi’ stesso, qualunque sia l’esito del referendum, magari con un Eurogruppo in teleconferenza seguito da un Eurosummit a distanza di qualche giorno. Per decidere il destino di Atene, avviata a default certo il 20 luglio, non c’e’ molto tempo.
Di seguito le prossime tappe. 6 LUGLIO. Riaprono mercati dopo referendum. In programma consiglio direttivo Bce; probabile Eurogruppo. 7 LUGLIO. Prima uscita pubblica di Jean Claude Juncker dopo il referendum, parlera’ al Parlamento Ue a Strasburgo. 10 LUGLIO. Vanno in scadenza circa 2 miliardi di titoli di Stato. 13 LUGLIO. Eurogruppo regolare, con i ministri fisicamente riuniti a Bruxelles per due giorni. E va in scadenza un’altra rata Fmi, di circa 450 milioni di euro. 17 LUGLIO. Altri titoli in scadenza, per 1 miliardo circa. 20 LUGLIO. E’ il giorno del possibile default, secondo molti analisti. Atene deve rimborsare alla Bce circa 3,4 miliardi, che al momento non ha. Per evitare il default dovrebbe, subito dopo il referendum, tornare al tavolo con i creditori e negoziare in fretta un terzo piano di aiuti che pero’, tutti la avvertono, non sara’ piu’ facile da ottenere.
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