Nello speciale di "Porta a Porta" sull’11 settembre, in onda su Rai Uno, un’intervista al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ricorda quel tragico giorno con sentimenti di "sgomento e senso di impotenza". "Ero allora membro del Parlamento Europeo, ero a Bruxelles", racconta il capo dello Stato. "Ero appena arrivato a Bruxelles per partecipare all’attivita’ parlamentare e quando ebbi una vaga notizia di qualcosa che era accaduto e che avrei potuto meglio comprendere appena avessi acceso la televisione in albergo, andai nell’albergo di Bruxelles, dove avevo prenotato la stanza, accesi la televisione e vidi quelle spaventose immagini provenienti da New York. Mi misi subito in contatto con la sede del Parlamento Europeo e mi fu immediatamente detto di non muovermi dall’albergo perche’ si stava sgomberando completamente la sede del Parlamento per il timore che accadesse qualcosa anche lì, che arrivasse un attacco anche lì". "E quindi – ha aggiunto il Capo dello Stato – quello che ricordo è lo sgomento e anche un senso di impotenza. Era dunque davvero immaginabile che si colpisse, quasi contemporaneamente all’America, anche l’Europa nel suo centro pulsante della comunita’ europea, dell’Europa unita. Io rimasi a lungo inchiodato davanti allo schermo della televisione, poi in tarda serata mi dissero che potevo raggiungere il Parlamento e lo feci".
Secondo il capo dello Stato "all’11 settembre consegui’ innanzi tutto la presa di coscienza da parte della comunita’ internazionale di una minaccia e di una sfida inaudite, e si comprese bene che quella minaccia e quella sfida non erano dirette soltanto all’America, agli Stati Uniti. Lo si comprese molto prima che l’attacco fosse portato, come poi avvenne, anche in Europa, in grandi citta’ europee come Parigi Londra, Madrid. E quindi quello che io posso mettere in evidenza, e’ che cambio’ qualcosa di profondo nel modo di concepire la propria sicurezza, ma non solo da parte di alcuni Stati. Quello che forse fu un effetto non previsto da coloro che ordirono l’attacco alle torri gemelle – ha aggiunto Napolitano – , fu un avvicinamento tra i membri della comunita’ internazionale. E a partire da quel momento Stati anche molto diversi e anche non alleati tra loro, voglio dire dagli Stati Uniti e dagli Stati dell’Unione europea, alla Russia alla Cina, compresero di dover affrontare insieme un nemico comune. E questo e’ stato essenziale per tutti gli svolgimenti successivi. E credo che naturalmente era inevitabile una reazione immediata, cercare di colpire una centrale del terrorismo internazionale di matrice islamica che poteva annidarsi, che sicuramente si annidava, in Afganistan, Al-Qaeda, e quindi la decisione di portare le armi in Afganistan per scovare e colpire quella centrale del terrore. Ma questo fu uno solo degli eventi che segnarono e che hanno segnato il decennio. Perche’ nel corso di quegli stessi 10 anni e’ cambiato, per tanti aspetti, il mondo. Il fatto fondamentale fu capire che non bisognava, soprattutto noi, Stati occidentali, America e Europa, lasciarsi attirare in quello che si pretendeva, da parte di Al-Qaeda, potesse essere uno scontro tra civilta’. Bisognava – ha concluso il capo dello Stato – non confondere l’attacco terroristico, ne’ con la religione musulmana ne’ con la cultura islamica; bisognava anzi trovare la strada per dissipare motivi di incomprensione e di contrapposizione tra mondi diversi, per arrivare ad una concezione comune della sicurezza, dello sviluppo.
In fine dei conti, della pace e della giustizia tra le nazioni".
AFGHANISTAN Nella stessa intervista Napolitano parla della politica estera italiana, con particolare riferimento alle nostre missioni militari in Afghanistan: "Non ritengo che ci sia da meravigliarsi che siamo ancora li’. La cosa importante e’ aver individuato, cosi’ come e’ stata individuata da tutte le componenti della coalizione che opera in Afganistan, una via d’uscita per quel paese e una via d’uscita anche per quanti hanno inviato li’ le loro truppe". "E’ una guerra piu’ che difficile, e’ una guerra del tutto inedita perche’ dall’altra parte c’e’ un nemico che si prepara nell’ombra, che colpisce in modo inaspettato, che si maschera e che dispone di propri agenti disseminati nel territorio di tanti paesi che naturalmente cercano di suscitare delle adesioni, dei consensi, per lo meno delle condizioni favorevoli per poter sferrare i propri attacchi. Che questa fosse una partita molto difficile credo che non lo compresero solo gli americani. Certo per loro il fatto era senza precedenti: mai una guerra, mai nulla di distruttivo aveva colpito il territorio americano, una citta’ come New York, una citta’ come Washington. Noi europei avevamo vissuto gli attacchi e le distruzioni della seconda guerra mondiale, per non parlare della prima, ma comunque anche per noi era un’altra cosa. Che questo tipo di guerra senza precedenti potesse durare a lungo, poteva certamente mettersi nel conto, nessuno era in grado di fare previsioni’.
CRISI Affrontando il tema della crisi economica: "Ce la dobbiamo fare, ce la possiamo fare. Io non ho mai dubitato un solo momento della capacita’ di un paese come il nostro che si e’ rialzato da cadute tremende, di trovare la strada di un nuovo sviluppo nel prossimo futuro". Per questo, ha aggiunto, "e’ indispensabile piu’ di una cosa. La prima cosa e’ capire quanto sia cambiato il mondo, capire che noi tutti qui, e voglio dire di ogni classe sociale, non solo di ogni parte politica, non possiamo piu’ ragionare come se stessimo nel 1980. Siamo nel 2011 e bisogna trarne tutte le conseguenze, anche dal punto di vista delle nostre aspettative e dei nostri comportamenti, individuali e collettivi. E la seconda cosa da capire e’ che noi ci siamo rialzati da cadute tremende del passato come dopo la Seconda guerra mondiale perche’ abbiamo saputo trovare un forte cemento unitario nazionale al di la’ delle divisioni politiche che pure negli anni ’40-50 erano molto aspre. Dobbiamo saper ritrovare egualmente il modo di costituire un forte cemento unitario, una forte coesione nazionale e sociale nell’interesse del nostro Paese’.
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