La gente ‘puo’ essere buona, felice, triste, gentile, buona riconoscente, grande, piccola… la gente finisce, la gente vola’. Lo scrive in un tema Anton, il giovane autistico russo protagonista del documentario Anton tut Ryadom (Anton’s right here), il documentario della regista Lyubov Arkus presentato alla Mostra del Cinema di Venezia come proiezione speciale fuori concorso. Il film racconta in un arco di tre anni, dal 2008 al 2011, in piena Russia di Putin, la lotta per salvare il ragazzo che, una volta morta la madre, malata di tumore, sembra destinato a finire rinchiuso in un istituto neurologico sotto psicofarmaci, dove oltre agli autistici finiscono spesso tutti quelli ‘che non sono come gli altri’, si spiega.
In modo asciutto e coinvolgente, la cineasta racconta il suo incontro con Anton, dopo aver ritrovato un tema del ragazzo sulla gente, scritto sette anni prima, che aveva messo da parte per un progetto sull’autismo. Ora, piu’ grande, Anton e’ peggiorato: comunica sempre meno e le parole preferisce scriverle sui muri di casa, sulla sabbia, dove capita. Cammina per ore, si avvicina solo se conquisti la sua fiducia, ha tanta energia dentro che non lo fa mai stare fermo e quando ha paura o e’ arrabbiato, scappa, si graffia, si strappa i vestiti. L’unica con cui e’ sereno e’ la madre Rinata, malata di un tumore incurabile e terrorizzata per il destino che aspetta il figlio.
Il documentario racconta il percorso della regista con Rinata per trovare una soluzione, difficile visto che i pochi istituti per autistici che ci sono in Russia accettano solo malati nei loro standard: abbastanza controllati da imparare un lavoro (assemblare penne, fare il fioraio, ecc.) o che si integrino facilmente con gli altri. ‘Siamo troppo stanchi per lavorare su di loro’ dice la responsabile di una comunita’ che prima accetta Anton e poi lo rimanda al mittente. Una nuova strada si apre grazie al padre del ragazzo che nel frattempo cresce e cambia di fronte a tante esperienze traumatiche: ‘Piu’ si apriva al mondo con la sua energia, piu’ il mondo lo respingeva – dice la regista nel film -. In questi anni ha imparato a piangere, prima non lo sapeva fare’.
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