I partiti italiani sono sempre troppi. I piccoli vogliono condizionare i grandi. Le alleanze e gli apparentamenti dovrebbero servire per governare. Speriamo in bene. Quando, nel lontano 1960, eravamo corresponsabili del mensile “Futuribile”, non avremmo mai pensato che, in 55 anni, l’Italia potesse assumere l’assetto nel quale, ora, siamo costretti a vivere. I “mali” del Paese sono stati identificati, ma non curati nel modo migliore.
Il prossimo Parlamento avrà parecchi nodi da sciogliere. I mezzi per farlo non li abbiamo ancora intravisti. Basta con i sacrifici a fondo perduto. Meno privilegi per tutti e fuori dalla politica attiva chi non intende accettare regole comportamentali più spartane. Tra le formazioni nazionali non ce n’è una che ci convince più di tanto.
Anche il voto dei connazionali all’estero, che avrebbe potuto essere una valvola di “sfogo”, è rimasto statico e arcaico. Dato, però, che le contrapposizioni sono più formali che sostanziali, le nostre preoccupazioni sono aumentate. Perché non sembrano esserci più ideali da rispettare, posizioni d’equità da conquistare e verità da rivelare. E’ proprio quest’innegabile realtà che ci angustia.
Per molti partiti, aspiranti all’Esecutivo, non restano che le alleanze. Altri compromessi che, col tempo, potrebbero nuovamente degenerare. Di stonature questa nostra Italia ne ha sentite parecchie. Sia dal Governo che dall’opposizione. Anche con Renzi il contrasto è rimasto palpabile. Ancora una volta, si è preferito restare in competizione. Aver minimizzato le situazioni e rimandato i problemi economici ci ha portato dove mai ritenevamo di poter arrivare. I trasformismi sono tornati alla ribalta. Il Governo da tecnico si è fatto politico; con un programma che abbiamo preferito lasciare agli elettori il coraggio di ponderare.
Per migliorare, senza pretendere l’impossibile, è fondamentale mantenere l’indipendenza ideologica e portare avanti, anche se in pochi, le proprie proposte. Messi da parte gli indugi, abbiamo compreso lo spirito dei Padri fondatori della Repubblica, cioè un programma chiaro che, allora, non escludeva nessuno. Ora è il Parlamento che dovrebbe essere d’esempio. Anche con un’azione di trascinamento ideologico che andrebbe a destare l’interesse degli incerti e i “trombati” dell’ultima ora.
Oltre le polemiche, c’è l’Italia. Un Paese che non ha malinconia del suo passato, ma che non lo dimentica per non ipotecare il futuro. E’ indispensabile tornare alla politica della quotidianità. Cioè quella dei piccoli passi. Una posizione che avevamo fatto nostra nel 1960, quando nel Paese i preconcetti erano “vizio” di pochi. Sono passati 55 anni. Almeno due generazioni hanno ceduto il posto alle altre. Il posto, non gli ideali.
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