La speranza dell’Antimafia di chiarire il ruolo di Oscar Luigi Scalfaro circa l’attenuazione del 41 bis e’ andata delusa. La 25.ma audizione non ha fornito elementi, ma ha fatto capire che il capo dello Stato seguiva da vicino la gestione delle carceri. Ne ha parlato un prelato che partecipó a un’udienza al Quirinale, a giugno del 1992. ‘Non parlammo di 41 bis. Il presidente – ha detto monsignor Fabio Fabbri – ci riveló che voleva sostituire Nicolo’ Amato al vertice del DAP e ci chiese di aiutare il ministro Conso a trovare il successore’. Quel giorno il prelato era al Quirinale per assistere il suo ‘capo’: don Cesare Curioni, scomparso nel 1996 dopo essere stato per 32 anni cappellano capo di San Vittore e, dal 1982 al 1992, presidente della Commissione Ministeriale dei Cappellani militari. E’ risaputo che Don Cesare fece da tramite fra il Papa ed emissari delle Brigate Rosse durante il rapimento di Aldo Moro.
Mons. Fabbri, suo segretario particolare, ha spiegato che don Cesare conosceva Scalfaro da anni e perció appena fu eletto al Quirinale gli chiese udienza per risolvere un problema: il suo alloggio era stato trasferito d’autorita’ presso la sede del DAP e la cosa non gli andava giu’. Scalfaro gli diede ragione e, ha raccontato Fabbri, ‘con nostra grande meraviglia’ fece una sfuriata contro il direttore del DAP Nicolo’ Amato. Disse che non lo aveva mai sopportato. ‘Ci disse: ‘Quando Scalfaro non era nessuno, cosa che e’ tutta da dimostrare, mi fece aspettare giorni prima di rispondere a una telefonata. Sono stufo di comportamenti da primadonna. La sua era è finita. Vi chiedo di aiutare il ministro della Giustizia Giovanni Conso a trovare il successore. Ho tre nomi di candidati nel cassetto, ma finche’ saro’ presidente non passera’ nessuno di loro’. Cio’ detto prese il telefono e informo’ Conso". L’incontro col ministro si svolse l’indomani e i due cappellani fecero il nome del procuratore di Trento, Adalberto Capriotti, che fu contattato da noi, accettó e fu nominato’.
Il prelato ha raccontato tutta la vicenda con una minuziosa aneddotica e spiccato accento fiorentino. Ha escluso che durante l’incontro al Quirinale si sia parlato di una lettera dei familiari di alcuni mafiosi ristretti al 41 bis. ‘Don Cesare ed io ne abbiamo appreso l’esistenza molto tempo dopo’.
Valter Veltroni (Pd) ha chiesto al teste di chiarire precedenti dichiarazioni sul caso Moro, in particolare su una battuta scambiata anni fa, dopo la morte di Cesare Curioni, con Giulio Andreotti. ‘Siamo rimasti in vita solo noi due a conoscere certe vicende’, disse mons. Fabbri ad Andreotti, che rispose: ‘Teniamo duro’. Fabbri ha spiegato: mi riferivo al fatto gia’ noto che don Curioni aveva trasmesso ad Andreotti le informazioni di fonte carceraria che fecero sospendere il dragaggio del Lago della Duchessa alla ricerca del corpo di Moro. Quanto al ‘tenere duro’, ha aggiunto, ‘si riferiva alla nostra veneranda età: 80 anni lui, 70 io’.
Mons. Fabbri si e’ inoltre attribuito il merito di aver fatto rifare alle Br la foto dello statista rapito per ritrarlo con una copia attuale di un quotidiano. A don Curioni, ha detto, per il tramite segreto dell’avv. Giannino Guiso, legale delle Br, era stata consegnata una foto con la stella a cinque punte sullo sfondo. Quando fu mostrata a Paolo VI, questi obiettó che non dimostrava che Moro fosse ancora in vita. Secondo Fabbri, l’idea del quotidiano fu sua e don Curioni fece rifare la foto rivolgendosi a Guiso. Veltroni ha obiettato che le circostanze non concordano con le date di rinvenimento e pubblicazione delle due foto di Moro. Mons. Fabbri non ha chiarito se si trattasse di una terza foto di cui finora non si e’ saputo nulla.
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