Mosca ha iniziato a lavorare ad un piano ”efficace, chiaro e concreto” insieme a Damasco per mettere le sue armi chimiche sotto il controllo internazionale e smantellarle, come proposto ieri, ha annunciato il capo della diplomazia russa Serghiei Lavrov. Un piano di cui hanno discusso anche Putin e Obama a margine del recente G20 e che la Russia spera di presentare "a breve", "perfezionandolo con il coinvolgimento del segretario generale dell’Onu, dei membri del consiglio di sicurezza dell’Onu e l’organizzazione per il divieto delle armi chimiche" (Opcw). La strada, come riferiscono alcuni esperti e fonti del ministero degli Esteri russo, appare pero’ lunga, ben oltre la settimana indicata ieri dal segretario di Stato Usa John Kerry come termine per la consegna delle armi chimiche da parte di Damasco per evitare lo ‘strike’. E difficile, perche’ con ogni probabilita’ le armi chimiche non sarebbero distrutte in loco, come nei due unici precedenti dell’Iraq e della Libia.
La prima tappa passerebbe per il Consiglio di sicurezza dell’Onu, con una richiesta formale al regime siriano di passare i suoi arsenali di armi chimiche sotto il controllo internazionale, come ha gia’ suggerito lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon. Qui potrebbero sorgere le prime difficolta’, con una bozza di risoluzione che si arena sul linguaggio usato, sui tempi e sulle condizioni dell’operazione. Il primo banco di prova sara’ la bozza che Usa, Francia e Gran Bretagna hanno annunciato di voler presentare insieme oggi: finora Russia e Cina hanno sempre usato il loro potere di veto e stasera Lavrov ha gia’ definito ”inaccettabile” la proposta francese. Il secondo passo, secondo il piano russo, prevede che Damasco indichi con esattezza quali e quante armi chimiche possiede e dove sono custodite. Poi scatterebbe un meccanismo di ispezione e controllo per verificare sul campo le informazioni del governo siriano: la missione dovrebbe essere affidata a ispettori Onu.
A parte i dubbi su eventuali siti tenuti nascosti da Assad (come successe con Saddam Hussein), in questa fase si profilerebbero i tempi lunghi delle verifiche: stando ai rapporti di intelligence occidentali, la Siria avrebbe massicci arsenali chimici, creati a partire dagli anni Settanta e sviluppati autonomamente negli anni Ottanta, con l’aiuto dell’Urss e poi – per equipaggiamenti e sostanze chimiche – di societa’ europee. Si parla di almeno quattro impianti in grado di produrre centinaia di tonnellate di sarin e di agenti chimici binari ogni anno (per i servizi segreti francesi Damasco ha oltre 1000 tonnellate di agenti e precursori chimici). Ma anche di enormi arsenali di armi chimiche a Khan Abu Shamat, a Homs e vicino a Damasco, nonche’ di centinaia o addirittura migliaia di bombe e di proiettili d’artiglieria gia’ caricati con armi chimiche e dislocati in decine di basi militari. Vi sono poi gli ostacoli legati all’accesso degli ispettori in un Paese dilaniato dalla guerra civile, con aree del Paese dove nessun gruppo ha il pieno controllo della situazione: improbabile che si materializzino tregue fallite anche per operazioni umanitarie.
Infine, l’ultima ma non meno complicata operazione sarebbe quella di trasferire tutti gli arsenali in luoghi sicuri per poterli eliminare: ”Impensabile farlo in Siria, dove occorrerebbe costruire un impianto ad hoc nel bel mezzo di una guerra civile, piu’ probabile un costosissimo e rischiosissimo trasporto via mare e uno smantellamento all’estero, con la Russia in pole position”, osserva Andrei Baklitskii, esperto di sicurezza internazionale e disarmo.
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