Con molta prudenza, avevamo salutato il Governo Renzi. Il giovane fiorentino sembrava mosso da un impegno innovatore. Siamo nella primavera 2016 e la sensazione, che corrisponde a una realtà più generale, si è modificata. I problemi d’Italia non si sono ridimensionati e anche il Capo del Governo, forse, l’ha capito. Questo Esecutivo, quindi, dovrebbe fare mosse più opportune o recedere.
Ciò premesso, come si può solo presupporre che la crisi sia in flessione? Il numero dei senza lavoro è ancora alto e chi tuttora svolge un’attività non riesce più, nella maggioranza dei casi, a fronteggiare i tanti, troppi, impegni quotidiani. La fiducia nell’Italia “sociale” è calata e recuperare il terreno perduto appare arduo.
Tra tante “novità”, è restato lettera morta il riesame dei redditi; soprattutto quelli da lavoro dipendente. Non siamo economisti, né saremmo in grado d’improvvisarci tali. Però qualche conto è presto fatto. Se l’imposizione fiscale, diretta e indiretta, serve per non bloccare la mastodontica macchina dello Stato che prende molto e non restituisce nulla, bisognerebbe anche rivedere alcuni parametri necessari per garantire una liquidità che proprio ci manca. Perseguire l’evasione fiscale è una delle strade da perfezionare, ma non è la sola.
L’imponibile tassabile dovrebbe essere modificato. Sino a 15.000 euro l’anno (al lordo delle trattenute previdenziali) nessun prelievo fiscale (tetto massimo). Dopo tale somma, applicare le aliquote già note. In pratica, si andrebbe a favorire le prospettive di vita di chi è costretto a tirare avanti con poco più di 900 euro al mese o, purtroppo, anche con molto meno.
Per far fronte alle necessità alimentari, si potrebbe “riscoprire” una tessera sociale (a scalare) per un importo annuo di 1000 euro. Poco più di 80 euro al mese per nucleo familiare di “base” (moglie e marito). Sempre con reddito “reale” sino a 15.000 euro (al lordo delle trattenute previdenziali). Quando gli interventi socio/economici non risolvono le difficoltà di vita, allora c’è da modificarli. Ora non è più questione di “coraggio”, ma di logicità.
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