Uno ha fatto ‘outing’ e per definire quanto e’ accaduto ad Arcore ha parlato di ”dismisura, abuso di potere e degrado”. L’altro, invece, non ha mai cambiato rotta: a casa di Silvio Berlusconi nessuna ”nudita’, ne’ balletti osceni, ne’ minorenni come vittime sacrificali, ne’ tantomeno rapporti sessuali alla presenza di chiunque”. Erano amici Lele Mora ed Emilio Fede ai tempi delle serate a villa San Martino. Ora, pero’, da coimputati nel processo sul caso Ruby, sembrano quasi nemici. Distanti nella loro difesa e nelle loro versioni sulle feste nelle residenza dell’ex premier Silvio Berlusconi. Mora, infatti, quattro giorni dopo la condanna a sette anni di reclusione per il Cavaliere nel processo gemello, ha fatto una sorta di mea culpa. Un ripensamento messo nero su bianco e letto in aula, nato dalle riflessioni fatte durante il lungo periodo di carcere – era stato arrestato per la bancarotta della sua Lm Management – nella speranza di ”ritrovare la diritta via” e ”uscire da quella bufera infernale che troppo a lungo mi ha trascinato”.
Al di la’ delle scuse per le sue ”arroganti polemiche” e per le offese ai ”giornalisti e ai comunisti”, l’ex talent scout, rivolgendosi ai giudici, non ha negato di aver partecipato ”ad alcune feste che l’onorevole Berlusconi organizzava ad Arcore, almeno alle cene”, alle quali ha ”accompagnato (..) delle ragazze”, senza mai, pero’, nemmeno pensare di condizionarne la loro volonta’. E ancora: ”Non ho mai giudicato i loro comportamenti, forse qui sbagliando, ma non ho mai inquadrato le loro condotte come prostituzione”. Non ha negato nemmeno di aver ricevuto, ”grazie ai buoni rapporti del dottor Fede”, un prestito dall’allora presidente del Consiglio per cercare di salvare la sua societa’ dal fallimento. E poi quella frase che in qualche modo ha confermato la ricostruzione della Procura: ”Ho letto ieri su un quotidiano nazionale di grande diffusione come vi siano tre parole – ha spiegato riferendosi a quel che aveva scritto Giuseppe D’Avanzo, il cronista di Repubblica morto improvvisamente due anni fa – per definire quanto e’ successo e quanto e’ oggi al vostro giudizio: dismisura, abuso di potere e degrado. E’ vero, cosi’ e’ stato, ed io almeno all’eccesso ed al degrado (..) ne sono stato un passivo concorrente”. Dichiarazioni spontanee lontane mille anni luce da quella lettera inviata una settimana prima da Fede al Tribunale. In una paginetta l’ex direttore del Tg4, senza presentarsi davanti ai giudici, non solo ha respinto le accuse al mittente, ma ha anche voluto scrollarsi di dosso quanto detto sul suo conto dai pm nella requisitoria. Ha ricordato ai magistrati che deve sempre valere la presunzione di innocenza, ripercorrendo le parole usate dagli inquirenti che hanno paragonato il suo ruolo e quello di Mora con le ragazze a quello di ”assaggiatori di vini pregiati”, parlando anche di ”scene orgiastiche” e ”situazioni bacchiche”.
Parole che, secondo Fede, ”offrono una triste e aberrante descrizione della realta”’ e ”offendono l’imputato”. Affrontando brevemente la vicenda nel merito, ha fatto intendere poi che le feste ad Arcore erano ‘caste’ e le giovani ospiti quasi delle educande. A differenza di quel che hanno raccontato gli atti dell’inchiesta e del processo, Fede ha negato di aver invitato Ruby nella residenza milanese di Berlusconi, aggiungendo di non ricordarsi nemmeno ”di averla conosciuta” e di non essersi ”minimamente interessato alla sua eta”’. Due diversissime ‘parabole processuali’, dunque, con Mora che ha in qualche modo ammesso comportamenti almeno eticamente sbagliati e con il Fede fermo sulle sue posizioni, che poi coincidono con quelle di Berlusconi.
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