Il fiasco del vertice di Bruxelles – su un tema decisivo come il bilancio Ue dei prossimi anni – e’ un vero e proprio campanello d’allarme. Al di la’ delle rassicurazioni di rito, e’ il segnale che qualcosa non va nei meccanismi stessi di funzionamento dell’Unione europea. E’ la dimostrazione che le cancellerie occidentali si interrogano sui limiti del Trattato di Maastricht, sul come investire il denaro pubblico, sul come mediare tra le piu’ disparate esigenze dei 27.
Quando Mario Monti sottolinea la contraddizione di chi scommette sulla crescita e allo stesso tempo fustiga il bilancio comunitario, non fa altro che confermare l’inceppamento della macchina. Non a caso il premier cederebbe volentieri la futura trattativa ad un altro governo: con ogni probabilita’ l’accordo non sara’ trovato a breve e il fatto che l’Italia abbia potuto mettere sul piatto della bilancia la sua riconquistata credibilita’ e’ solo un tassello in un panorama assai piu’ complesso. C’e’ la conferma di una rottura tra Berlino e Parigi, come in fondo si poteva prevedere con l’ascesa di Francois Hollande all’Eliseo, e della tentazione di Londra di sbarcare dall’Unione. In questo scenario, Monti dovra’ giocoforza schierare il nostro Paese accanto ad uno dei contendenti, con tutto cio’ che ne deriva sul piano diplomatico e geopolitico.
Sorprende percio’ che il dibattito politico interno, in particolare quello delle primarie, abbia sottovalutato la questione: quasi che ogni decisione fosse demandata, per tacito e comune consenso, al solo Professore. L’unico che finora ha avuto il coraggio di esprimersi con chiarezza e’ stato Nichi Vendola secondo il quale gli impegni con la Ue vanni ripensati.
In fondo il governatore della Puglia non fa che anticipare un tema che i governi europei stanno cominciando ad affrontare, cioe’ la diluizione nel tempo di vincoli troppo severi che hanno determinato la recessione e la stagflazione. Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi ribattono che cio’ significa scherzare con il fuoco e che gli impegni vanno rispettati, ma qui il vero problema e’ l’elaborazione di nuovi schemi economici e di cio’ non si vede ancora traccia.
Le primarie del centrosinistra al momento si giocano su temi ben piu’ circoscritti, e cioe’ sulle future alleanze. Forse per scaramanzia, il segretario del Pd pensa che sara’ costretto al ballottaggio. Probabilmente contro Matteo Renzi che conta di rastrellare il 30 per cento dei voti e di dare cosi’ vita ad un’area interna capace di condizionare la linea del partito. Non ha torto Massimo D’Alema quando osserva che oggi Bersani e’ l’unico capace di ‘tenere’ nel suo progetto sia Renzi che Vendola. E di sperimentare una sinistra di governo alleata con il centro moderato che sappia anche tutelare la cosidetta agenda Monti. Candidando, e’ il sottinteso, il Professore al Quirinale perche’ un Monti-bis – dice – potrebbe nascere solo in un quadro di paralisi politica.
Il disegno e’ tuttavia in rotta di collisione con quello di Casini e Montezemolo: due che, commenta Bruno Tabacci, vogliono usare Monti per traghettarsi nella Terza Repubblica. I centristi, attualmente divisi in una miriade di sigle, ribattono che il tentativo e’ invece quello di dare una base parlamentare al programma montiano. Il ministro Riccardi spiega che le parole di Giorgio Napolitano non hanno spento il progetto, sebbene nel Pd ci sia chi sospetta (Arturo Parisi) che il capo dello Stato abbia scavato l’alveo del tracciato che dovra’ condurre al Monti-bis. Magari nello spirito delle larghe intese, dal momento che – come si e’ visto a Bruxelles – l’emergenza e’ tutt’altro che finita e sara’ necessario l’apporto di tutti, anche se in un governo a prevalenza democratica.
Questo e’ il vero problema politico di Angelino Alfano e la fonte dei suoi attriti con Silvio Berlusconi. Per porre la candidatura del Pdl in una futura maggioranza (sebbene tutti oggi lo escludano) e’ necessario presentare un partito profondamente rinnovato innanzitutto sul terreno della legalita’. Ecco perche’ il segretario ha fatto sapere che non correra’ le primarie insieme agli indagati. Un attacco all’imprenditore Alessandro Proto, secondo alcuni; ma anche a Silvio Berlusconi in persona, dicono Giampiero Samori’ e Vittorio Sgarbi. I fedelissimi ribattono che Berlusconi e’ un perseguitato politico, non un indagato o un condannato: e questa e’ sempre stata la filosofia ufficiale del Pdl.
Come che sia, il partito appare in preda a vere e proprie convulsioni, innescate dalla decisione di svolgere le primarie. In parte comprensibili, dice Bersani, perche’ non si passa in pochi nanosecondi dall’impero alla democrazia. Tuttavia Alfano non ha mancato di mostrare una certa abilita’ tattica: il suo richiamo al partito degli onesti, gia’ fatto nel discorso di investitura alla segreteria, e’ piaciuto ai montiani come Frattini e anche alla destra finiana che proprio su questo punto aveva rotto con il Cavaliere: un vero e proprio ponte proteso sulla futura area di maggioranza che si richiama al premier. Certo, Alfano cammina sul filo del rasoio: piu’ che della destra di Gasparri e La Russa, come accusa Sandro Bondi, sembra prigioniero della grande incognita legata alle decisioni di Berlusconi. Che cosa fara’ il fondatore? Ridara’ davvero vita ad una Forza Italia 2.0? O, come appare piu’ probabile, si rassegnera’ al ruolo del ‘padre nobile’? Dalla risposta a questo interrogativo, dipende il futuro del centrodestra italiano.
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