Le frenetiche consultazioni della Casa Bianca sono lo specchio di una crisi che rischia di precipitare verso il baratro. Barack Obama si e’ sentito con Mario Monti, David Cameron e Angela Merkel, e il segretario del Tesoro Usa con il suo collega cinese. Il vero obiettivo, al di la’ dei veli diplomatici, e’ quello di costringere la Germania ad accettare la mutualizzazione del debito dell’eurozona nel vertice Ue di fine mese. Con qualsiasi strumento.
Del resto Mario Draghi lo ha detto chiaro: la Bce non ha la ‘pallottola d’argento’ capace di risolvere la crisi dei debiti sovrani. Fornira’ liquidita’ illimitata alle banche per tutto il 2012, ma e’ necessario che i leader europei indichino una volta per tutte la loro visione sul futuro della moneta unica. Una visione, e’ il sottinteso, di unita’ politica e non solo fiscale e di bilancio: l’unico orizzonte accettabile per i mercati.
Naturalmente l’attivismo del presidente americano puo’ urtare la suscettibilita’ tedesca e quella dei vertici di Bruxelles, gelosi della propria autonomia. Ma e’ un rischio calcolato.
L’impressione e’ infatti che non ci sia piu’ tempo da perdere e che il solito cavilloso rinvio che si profila in sede di vertice Ue sia giudicato da Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina un drammatico errore strategico.
In questa cruciale partita, a Monti spetta la prima linea. E’ l’uomo sul quale Berlino ha puntato per il risanamento del nostro Paese, ma anche il Professore al quale americani e francesi affidano le (poche) speranze di convincere Angela Merkel a cambiare linea politica. Il vertice italo-francese del 14 giugno costituira’ il banco di prova del suo futuro: se emergera’ un asse tra Roma e Parigi per modificare il rigorismo che strangola l’economia continentale, il premier potra’ contare sull’appoggio rinnovato (e forse incondizionato) della sua ‘strana maggioranza’; ma se viceversa si proseguira’ nella politica del temporeggiamento, non e’ difficile prevedere un ulteriore sfilacciamento della base parlamentare.
Il fatto e’ che le larghe intese non reggono alla prova del voto. Dal caso De Gregorio alla politica economica e alle riforme, Pdl e Pd si trovano sempre su sponde opposte. La cerniera dell’Udc non regge. Un esempio e’ il progetto di semipresidenzialismo alla francese con doppio turno presentata da Angelino Alfano e prontamente bocciata dai democratici e dai centristi. Secondo Bersani e Casini non si puo’ rivoluzionare il sistema costituzionale in zona Cesarini, senza un dibattito approfondito nella societa’. Il Pd, per bocca di Enrico Letta, preferirebbe una riforma elettorale alla spagnola, rinunciando alla sua bandiera (che e’ il doppio turno) pur di uscire subito dalle secche dei veti incrociati. Casini avanza esplicitamente il sospetto che il Pdl con la sua proposta voglia disperdere il lavoro fatto fin qui sulle riforme.
Puo’ una coalizione procedere sulla base di tali diffidenze reciproche? Un dato e’ certo: il tempo passa e la possibilita’ di varare almeno qualche scampolo di riforma, come il taglio dei parlamentari, si allontana sempre piu’. Alfano avverte che se il Senato non avra’ votato un primo testo entro la fine del mese, tutto finira’ su un binario morto. E sembra qualcosa piu’ di un pronostico. Sebbene, e’ il caso di sottolineare, l’appoggio assicurato da Fini al disegno presidenzialista, sommato al si’ della Lega, possa anche consentire un voto favorevole del Senato ma in uno scenario sempre piu’ enigmatico.
Bisogna riconoscere che la confusione e’ giustificata dall’ incertezza delle prospettive elettorali. Di fatto nessuno sa come i tre contraenti della coalizione si presenteranno al voto del 2013 (sempre che non si scivoli verso le urne in autunno a seguito di qualche incidente parlamentare).
E’ il Pdl il partito in maggiori difficolta’. La lettera di Renato Schifani al Foglio tradisce un malessere profondo: il presidente del Senato vede un elettorato frastornato che si rifugia nell’astensionismo e invita Berlusconi a lasciar perdere le imitazioni del grillismo. Molto meglio, a suo giudizio, tenere fede al progetto originario di svecchiamento nelle mani di Alfano: di qui l’incoraggiamento al segretario a procedere in autonomia anche al di sopra delle correnti che rischiano di soffocare il partito dei moderati.
Non che sul fronte opposto ci sia piu’ chiarezza. Il Pd si sente in qualche modo sicuro del successo elettorale e continua a corteggiare l’Udc. Lo stesso Montezemolo e’ nel suo orizzonte. Cio’ spiega perche’ Antonio Di Pietro accusi Bersani di aver ‘calato le braghe’ di fronte al governo tecnico e lo avverta che non entrera’ a scatola chiusa in nessuna alleanza.
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