Aveva compiuto 92 anni l’11 febbraio scorso, ma non era stato un compleanno di festa come gli altri. Per Tai, cosi’ era soprannominato Ottavio Missoni, sempre al centro dei forti legami familiari, tutta una vita nello sport, nella moda e nel colore, quella era stata un’altra delle grigie giornate di ansia nell’attesa mai rassegnata di notizie dal Venezuela.
Il 5 gennaio era sparito infatti il piccolo aereo su cui il primogenito Vittorio e sua moglie Maurizia stavano tornando da una vacanza con gli amici alle isole Los Roques. Da quel giorno, la vita di tutti i Missoni era cambiata anche se, con la forza dell’amore mai rassegnato, le ricerche sono continuate con tenacia e cosi’ anche l’attivita’ dell’azienda. Mentre la seconda figlia, Angela, portava avanti, con il sorriso sul viso e il dolore nel cuore, il grande marchio fondato dai genitori, suo fratello Luca si era impegnato in prima persona nelle ricerche. Tre figli e nove nipoti – tre per ogni figlio – per una grande famiglia che ha vissuto mesi difficili e il grande cuore di Tai temprato da una vita nello sport, non ha retto al peso di una eta’ fiaccata dal dolore. Eppure forse lui stesso oggi vorrebbe essere ricordato soprattutto per i nove decenni di forza e di entusiasmo che hanno connotato la sua vita.
La storia di Ottavio Missoni e’ davvero unica e continuera’ ad affascinare il mondo, non solo quello della moda, anche perche’ emblematica di un certo modo tutto italiano di essere uomo e imprenditore.
Nato nel 1921 a Ragusa, ora Dubrovnik, Ottavio era cresciuto a Zara. Si considerava triestino d’adozione ma si sentiva dalmata e diceva: ‘Noi della costa non siamo ne’ danubiani ne’ balcanici, e se qualcuno oggi la chiama Croazia del Sud io insisto a dire che e’ Dalmazia’. I ricordi sono quelli di un esule: ‘L’ultimo Natale a Zara – aveva raccontato anni fa – e’ stato quello del 1941, poi sono andato militare. Quando ci furono i bombardamenti degli anglo-americani, io ero prigioniero in Egitto, mio padre e mio fratello erano imbarcati. A casa era rimasta mia madre che, ai primi del 1944, e’ fuggita da sola a Trieste lasciando tutto, ma portandosi via il pianoforte, che ancora abbiamo’. Il resto ando’ perduto, anche la casa di famiglia a Ragusa.
Nel 1935, a 14 anni, Missoni aveva cominciato a praticare seriamente l’atletica, nei 400 piani e nei 400 ostacoli. Nel 1939 era diventato campione mondiale studentesco a Vienna e dopo la guerra, che gli aveva portato via i migliori anni per lo sport, aveva partecipato alle Olimpiadi di Londra nel 1948 (classificandosi al sesto posto nella finale dei 400 ostacoli e correndo la staffetta 4×400) ed era poi arrivato quarto agli europei del 1950. Nella sua carriera ha vestito 23 volte la maglia azzurra e conquistato 8 titoli italiani. Ma Tai era rimasto sempre uno sportivo e, con l’avanzare dell’eta’ si era dedicato ai lanci, partecipando perfino ai mondiali di giavellotto (per ‘under 90’, disse con autoironia prima di compierli).
Proprio a Londra pero’ Ottavio aveva conosciuto Rosita Jelmini, figlia di imprenditori tessili lombardi, e con lei, diventata sua moglie, inizio’ a sviluppare la sua attivita’, gia’ iniziata da solo con una piccola produzione di indumenti sportivi, il nucleo di quell’impresa che avrebbe portato la coppia sulle vette della moda.
Agli esordi, la coppia apri’ un laboratorio a Gallarate. Il salto avvenne nel 1958, quando la Rinascente commissiono’ ai Missoni 500 abiti a righe. ‘Tentavamo di lavorare sul colore ma, con le macchine che avevamo allora, era difficile’ ha ricordato Tai in seguito (Balthus lo defini’ ‘maestro del colore’). Dall’esigenza creativa si sviluppo’ la ricerca tecnica. Nel 1969 Tai e Rosita costruirono lo stabilimento e la casa di Sumirago, nel varesotto, dove ancora adesso la famiglia vive e lavora, casa e bottega, perche’ i Missoni si considerano artigiani. All’inizio degli anni 70 fu successo mondiale: arazzi coloratissimi, patchwork, righe e fiammati arcobaleno e il famoso ‘put together’, espressione con cui Ottavio spiego’ agli americani che si trattava di ‘mettere insieme’ fantasie di punti e colori che mai nessuno avrebbe osato accostare, in un caleidoscopio di motivi e di tinte.
L’originalita’ e la riconoscibilita’ di questa moda ha portato i Missoni nei piu’ importanti musei. Non si contano le mostre dedicate all’arte di Tai, di Rosita e della loro famiglia speciale, e non si contano i premi. Ma per il patriarca, che ormai ultranovantenne aveva ancora il suo studio pieno di lane colorate e di arazzi in maglia, tra le opera d’arte moderna nella bella azienda tutta vetri affacciata sul verde di Sumirago, tutta questa fama era intessuta di leggerezza e ironia. Aveva tanti amici Ottavio, nella moda e anche tra giornalisti e intellettuali: le colazioni e le cene nella bella casa Missoni erano famose per la qualita’ del cibo e per l’allestimento colorato, ma anche per la semplicita’ dell’accoglienza calda, mai formale, un tratto di semplicita’ sportiva elegante e disinvolta. Tai viveva il successo con il disincanto della nostalgia da profugo dalmata e insieme con l’ottimismo della terra lombarda dove aveva messo radici.
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