Ha appena preso il timone di una nave che riversa in acque torbide, e già Matteo Renzi sembra aver spiegato le vele. Del resto, l’obiettivo era chiaro sin dall’inizio: cambiare passo, perché «questa è l’ultima chance, per tutti». Anche per i «sabotatori», che rivendicano riforme salvo ripiegare, in Parlamento, sull’ostruzione. E non è certo un caso se il premier abbia approfittato delle critiche per inviare sottobanco al grillino Di Maio — vicepresidente della Camera dei Deputati — un fogliettino in cui domandava «il confronto sui singoli provvedimenti», ben consapevole che sarebbe finito su rete e giornali. Il segretario democrat parla, piuttosto che a deputati e partiti, all’elettorato tutto: da quello del Movimento 5 Stelle a quello di Forza Italia, cui più volte ha chiesto di «non vincolare il destino di un Paese a quello di una persona».
Quindi, avanti tutta. Fino all’estate il Parlamento sarà «impallinato» di riforme da discutere e approvare perché si arrivi al semestre di presidenza europea con le carte in regola; una prima garanzia, in questo senso, il Presidente del Consiglio l’ha data ripromettendosi di non intervenire con decreti massicci, a patto che «le Camere non impieghino sei mesi per convertire i disegni di legge». Quella della riforma elettorale rappresenta la condizione minima affinché Renzi si senta insignito della prerogativa di «rinegoziare» certi vincoli con Angela Merkel. Sulle elezioni europee l’ormai ex sindaco di Firenze si gioca peraltro una partita importante: in palio c’è la legittimazione popolare, che le primarie non possono, in nessun modo, sostituire.
Per questi e altri motivi, indiscrezione vorrebbe che Renzi abbia, nottetempo, ritrattato gli accordi con Alfano sulla clausola «salva legislatura». Proprio nei giorni scorsi, infatti, Angelino sembrava aver convinto Matteo a legare l’Italicum con la riforma del Senato, tentando così di scongiurare il ritorno immediato alle urne; testimoni del patto sarebbero, tra gli altri, Franceschini, Delrio e Lupi. Il riconfermato ministro delle Infrastrutture, raggiunta l’intesa, aveva messo avanti le mani: “Qui siamo in cinque. Se qualcuno dovesse dimenticarsene, gli altri quattro glielo ricorderebbero”. Questo, dunque, è uno dei punti su cui la nave potrebbe ingolfarsi; e su cui Berlusconi potrebbe puntare per vincere quel «braccio di ferro» intrapreso con Alfano.
Il segretario democrat ha effettuato una retromarcia cieca, conscio del fatto che subordinare la riforma elettorale a quella della Costituzione potrebbe rivelarsi esiziale, almeno sotto due profili: da una parte, rischierebbe di allungare oltremodo i tempi per il varo dell’Italicum, vincolandolo alla preventiva discussione e alla successiva approvazione di un disegno sul Senato; dall’altra, significherebbe rinunciare al silenzioso rapporto con Berlusconi, il primo con cui Renzi abbia voluto intavolare il progetto di riforma non appena assurto alla carica di segretario.
Ora che il timone è nelle mani di Matteo, la nave sembra, però, poter navigare verso acque più limpide; se non altro per il rapporto che intende ricostruire con i cittadini. «Mi ispiro al modello del Sindaco d’Italia», aveva ripetuto; di cosa parlasse, fino a ieri non era ancora chiaro. «Due giorni a settimana, possibilmente il mercoledì e il giovedì, girerò per il Paese»; e poi, coinvolgendo Delrio: «Graziano, toccherà a te stare a palazzo Chigi e indirizzare il lavoro del governo». E’ una mossa che garantirebbe al Presidente del Consiglio la possibilità di improntare le scelte politiche al confronto con gli elettori, allontanando il pensiero — «pesantissimo», per sua stessa ammissione — di aver «saltato» la tappa del voto. E gli consentirebbe di incedere, per quanto difficile, a vele spiegate.
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