Lo scontro in atto nel Partito Democratico riguardo all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è solo uno scontro ideologico. In realtà, l’articolo 18 non dà tutele a tutti i lavoratori ed è solo una bandierina ideologica di chi vuole a tutti i costi mantenere lo status quo. Una parte del Partito Democratico è rimasta legata al vecchio Partito Comunista Italiano e ai sindacati. Oggi, il mondo del lavoro è cambiato. E’ richiesta più mobilità come si richiede anche più manodopera specializzata. L’Italia è rimasta indietro.
Il nostro Paese è rimasto indietro perché ci sono delle vere e proprie lobbies che bloccano tutto. I sindacati, per esempio, sono una di queste.
Secondo la CGIA di Mestre, solo il 3% delle aziende è interessato dall’articolo 18. Quindi, ci sono lavoratori che sono ultra-tutelati e sono una minoranza. Questi lavoratori sono iscritti ai sindacati. La maggioranza dei lavoratori, tra cui quelli che hanno contratti a termine, non sono tutelati. Quindi, così com’è, l’articolo 18 non dà più diritti ma privilegi. Questi privilegi sono oggi insostenibili.
Inoltre, va detta una cosa. Il problema non è la riforma dell’articolo 18 ma la penuria di lavoro. O meglio, l’articolo 18 è parte del problema poiché così com’è ora contribuisce a bloccare il mercato del lavoro. In Italia non si lavora perché non c’è lavoro.
Il motivo è il sistema Paese. Le tasse sono elevate e la burocrazia è elefantiaca. Mancano delle infrastrutture efficienti, la giustizia non funziona e l’energia elettrica costa parecchio, a causa di una politica energetica già scarsa di suo e che è stata resa ancora più scarsa ed inefficiente da certi referendum, come quello sull’energia nucleare. Tutto ciò scoraggia sia gli eventuali investitori esteri (ovviamente, quelli che vogliono investire nel nostro Paese senza una svendita di quest’ultimo) e sia chi qui in Italia vuole aprire un’azienda. Inoltre, fa scappare i nostri imprenditori all’estero.
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