Devo confessarlo: preferivo il silenzio alle assurde dichiarazioni di alcuni parlamentari eletti all’estero della maggioranza, che cercano di giustificare l’emendamento del Sen. Tonini al decreto Irpef, che introduce una tassazione sulle richieste di riconoscimento della cittadinanza italiana. Il silenzio sarebbe stato almeno la prova del loro imbarazzo di fronte a una scellerata proposta, che non è altro che la negazione di un diritto. Invece le recenti dichiarazioni di questi parlamentari sono la prova tangibile della loro ipocrisia.
Si conferma una volta di più quel che il MAIE sostiene da tempo: i parlamentari eletti all’estero dei partiti “romani” sono costretti a obbedire agli ordini delle segreterie; perciò debbono ricorrere a sempre più titaniche capriole intellettuali per giustificare le scelte dei loro partiti e, nel caso specifico, del Governo Renzi nei confronti degli italiani nel mondo.
Secondo alcuni di questi parlamentari opporsi a una tassa di 300 euro per vedersi riconosciuto un diritto è un atto di demagogia. Ma invece un provvedimento che elargisce 80 euro a 10 milioni di persone, poco prima delle elezioni, non lo è! Quando siamo d’accordo con una decisione del Governo (come lo siamo stati nel caso del bonus IRPEF) siamo democratici, ma quando lo critichiamo allora siamo demagogici. Strana la concezione della demagogia che hanno questi parlamentari! Ma non finisce qui.
Definiscono “contributo” una somma di denaro che in tanti paesi di residenza della nostra comunità rappresenta l’intero stipendio di un operaio! Viene definita “tassa per il trattamento della domanda di riconoscimento” ciò che in realtà altro non è che una sostanziale modifica alla legge di cittadinanza, in quanto il principio di trasmissione della cittadinanza ius sanguinis viene eliminato – o comunque circoscritto – da un balzello di 300 euro.
Migliaia di cittadini (va ricordato che la legge dice che si è cittadini dalla nascita) che aspettano da anni il riconoscimento del proprio status civitatis, non solo ora dovranno dimostrare la propria discendenza italiana, ma dovranno poter anche dimostrare che le loro risorse economiche sono tali da potersi permettere di pagare 300 euro per iniziare la pratica.
E se poi si tratta di più persone della stessa famiglia che chiedono la cittadinanza (ad es. il figlio e il nipote di un emigrato), la tassa si raddoppia? 300 per il figlio e 300 il padre? Non è dato saperlo, perché i nostri parlamentari si sono dimenticati di chiarirlo.
È vero quanto dice uno dei due parlamentari: è un provvedimento destinato all’azzeramento delle pesanti liste di attesa accumulatesi in America Latina (soprattutto in Brasile). Certo! Gran parte delle persone che sono in attesa non potranno permettersi di pagare i 300 euro, e rinunceranno al loro diritto. Una propria e vera soluzione finale. E meno male che la proposta viene da un partito dell’area progressista e giustificata da un deputato “residente” in Brasile! (Fabio Porta, ndr).
Fa quasi tenerezza leggere che i 300 euro “saranno funzionali a dare un miglior servizio agli italiani all’estero”… mentre si continuano a chiudere i Consolati e le Ambasciate. E come, poi? Se l’emendamento – l’ho letto più di volte, sperando mi sia sfuggito – non prevede che il ricavato venga destinato alle strutture consolari che dovrebbero riceverlo.
Uno dei due parlamentari in causa, resosi conto di questo problema, lo ammette quando esplicitamente parla di un “nesso virtuoso” e “non vizioso” tra “la presenza all’estero delle nostre comunità e l’aumento di risorse da destinare” (magari intende “da destinare in un futuro remoto, e quando ci sarà un altro governo”) “ai servizi consolari”. Ci sembra di capire che in questo caso la “virtù” non si trovi più nel giusto mezzo tra gli estremi, come ci hanno insegnato, ma nel portafoglio di chi ha almeno 300 euro!
Finalmente abbiamo scoperto a cosa serve il Comitato sugli Italiani nel Mondo e la Promozione del Sistema Paese: a superare Aristotele!
*consigliere CGIE, coordinatore MAIE in Argentina
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