Alla fine, l’inevitabile è accaduto. Siamo in piena crisi di governo. Non c’era alternativa a un esito del genere, peraltro ampiamente prevedibile. Sui giornali, come al solito, c’era scritto tutto. Bastava seguire attentamente le dichiarazioni dei ministri PdL delle ultime settimane e degli ultimi giorni, insieme ai commenti di quelli Pd; bastava analizzarle e interpretarle nel giusto modo, per capire che ormai destra e sinistra sono tornati da tempo ad essere cane e gatto, altro che larghe intese.
Silvio Berlusconi ha scelto di essere falco fino in fondo: via i ministri azzurri dal governo, via i sottosegretari, dimissioni anche per i parlamentari del Popolo della Libertà. Una crisi scoppiata all’improvviso ma annunciata da tempo.
Del resto, l’uomo di Arcore ha giocato la sua partita – dal suo punto di vista – alla perfezione. Dopo la conferma della condanna da parte della Cassazione nell’ambito del processo Mediaset, si era rivolto al suo popolo con un videomessaggio, sottolineando come quella parte della magistratura politicizzata che lo perseguita da vent’anni avesse avuto la meglio su di lui, puntando a estrometterlo definitivamente dalla politica. Poi, la campagna d’agosto per preparare la strada al nuovo partito, sul web, sui social network, nei cieli italiani. E solo qualche giorno fa, il ritorno a Forza Italia, la rinascita, la nuova sede in piazza San Lorenzo in Lucina. E un altro videomessaggio. No, non era un bluff: B faceva e fa sul serio. Chi pensava che avesse fatto tutto questo tanto per distrarsi e distrarre dalle sue vicende personali, evidentemente non lo conosce abbastanza. Non conosce l’uomo, caparbio fino alla presunzione, ma dotato di un terzo occhio che altri non hanno.
Il Cavaliere ha una altissima opinione di sè: avrebbe mai permesso di essere giudicato dal Parlamento colpevole di un reato così infamante? Impossibile. E a chi dice che B continua a pensare solo ai propri interessi, è facile rispondere: vi sbagliate. Le sue imprese soffriranno, come altre, a causa di questa crisi di governo. Per questo anche i suoi figli, Pier Silvio e Marina in prima fila, oltre che i suoi amministratori, fino all’ultimo gli hanno sconsigliato un passo verso la crisi. Ma lui, sentiti tutti, falchi e colombe, alla fine ha deciso di testa sua, come sempre.
Il ricatto di Enrico Letta è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il suo governo ha deciso in Cdm di non decidere riguardo lo stop all’aumento dell’Iva. E ancor prima aveva ipotizzato una sospensione di tre mesi con una copertura fatta da nuove tasse: inaccettabile per un partito che si era appena vantato di avere la funzione di sentinella antitasse (copyright Angelino Alfano) e che aveva mal sopportato le continue critiche e minacce della sinistra sull’Imu. E’ stato un gioco al massacro e alla delegittimazione del centrodestra, parliamoci chiaro. Gli esponenti Pdl del governo, scavalcati da Letta e i suoi, con Franceschini spudoratamente contro Alfano, non hanno potuto fare altro che accogliere l’invito del loro leader e dimettersi tutti.
Siamo combattuti. Le dimissioni di massa del PdL rappresentano certamente un unicum nella Storia repubblicana, e non fanno bene al Paese, perchè una crisi di governo adesso è una mazzata per l’Italia e per gli italiani. Ma, follia per follia, non è stata una follia fin dall’inizio questo governo di larghe intese? Non è stata una follia provare a far nascere un governo fra forze che fino al giorno prima si erano sempre scannate? Comunisti vecchi e nuovi a braccetto col Caimano: ma che follia è stata questa? I nodi sono venuti al pettine tutti, e nemmeno troppo tardi.
Avremmo voluto che questa legislatura durasse almeno un paio d’anni, per portare a termine quelle riforme di cui l’Italia ha bisogno. Ma adesso? Adesso si voti. Si vada a elezioni. Si faccia in fretta una legge elettorale – anche per ciò che riguarda il voto estero – e si torni alle urne. Non ci vengano a proporre un governo Letta bis, di operazioni di palazzo ne abbiamo viste fin troppe negli ultimi mesi e anni. Basta. Ci vuole un governo politico degno di tale nome, un governo che governi. Non che faccia finta di farlo.
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