Il G20 si e’ concluso con un sostanziale insuccesso. Dal vertice non sono emerse le misure che tutti si attendevano contro la crisi finanziaria. Troppe le divisioni interne e perfino le liti, come quelle tra Obama e Merkel o tra Cameron e Hollande. L’impressione paradossale e’ che un colpo di frusta come la vittoria della sinistra radicale in Grecia avrebbe avuto un effetto deterrente ben superiore a quella dei moderati di Atene, costringendo i Paesi guida a prendere provvedimenti piu’ radicali.
Mario Monti ha svolto fino all’ultimo un ruolo di mediazione e adesso spera nella quadrilaterale di Roma tra Italia, Francia, Germania e Spagna per l’assunzione di decisioni forti di rilancio dell’eurozona. A parole tutti sono per una maggiore integrazione bancaria e fiscale, ma in realta’ le posizioni sono ancora distanti e a questo punto c’e’ preoccupazione anche per l’esito del vertice europeo di fine mese. Il rigorismo tedesco non esce scalfito dal G20: l’idea che Berlino stia facendo pretattica sull’allentamento dei debiti greci potrebbe rivelarsi un calcolo sbagliato. Il fatto e’ che tutte le proposte (dagli eurobond light alla golden rule e al nuovo serpentone monetario) sono cadute come birilli senza che la Germania abbia cambiato posizione. Perfino i meccanismi di controllo degli spread (che secondo Hollande hanno raggiunto livelli inaccettabili) vengono derubricati dal premier a livello di ‘tecnicalita’ ‘ da affrontare in sede interna: segno che gli spazi di manovra invece di allargarsi si stanno riducendo. L’aumento delle dotazioni del Fondo monetario (anche con il contributo italiano) indica che si punta piu’ sul firewall, cioe’ su una sorta di guerra di trincea ad eventi in corso, che sulla guerra di movimento.
Non e’ esattamente quello che si aspettavano le forze che sostengono il governo tecnico. Ecco perche’ stavolta Pdl, Pd e Terzo polo chiedono all’esecutivo garanzie prima di votare la riforma del lavoro con la quale il Professore vuole presentarsi a Bruxelles. La paura e’ di un replay del Porcellum, la legge elettorale definita ‘una porcata’ dal suo stesso ideatore (Roberto Calderoli); il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha detto che la riforma Fornero ‘e’ una boiata, ma va fatta’. E poi emendata.
Brutta storia per i professori. La ministra Fornero ha fornito i dati ufficiali (55.000 esodati in piu’) e attaccato l’Inps per la diffusione di dati ‘parziali e fuorvianti’: ma adesso la ‘strana maggioranza’ esige garanzie in parallelo con il varo della riforma, un verbale che in qualche modo certifichi l’intenzione del governo di trovare una soluzione. Il tempo stringe e la coalizione deve fronteggiare il fuoco incrociato dell’opposizione (oltre a una buona dose di ‘fuoco amico’): pensioni a tutti, il resto e’ una truffa, sintetizza Paolo Ferrero mentre l’Idv ribadisce la richiesta di dimissioni della Fornero.
La breve tregua ottenuta da Monti nel vertice con Alfano, Bersani e Casini per preparare il vertice europeo di fine mese rischia di saltare proprio perche’ dal fronte internazionale non giungono le attese novita’. Anche il piano di sviluppo del ministro Passera e’ finito nel mirino del Pdl: ‘overshooting’, cioe’ pura sovraesposizione mediatica con danni collaterali lo giudica Renato Brunetta. E non sembra parlare a titolo personale. In questo scenario le riforme istituzionali segnano il passo. Il Pdl insiste sul presidenzialismo, convinto di avere i numeri per farlo approvare dal Senato. Il Pd replica che e’ una manovra per far saltare il tavolo e bloccare tutto, anche la nuova legge elettorale. Lo scontro nella maggioranza non puo’ non avere riflessi sul governo. E del resto circolano veleni, come il voto al Senato per l’arresto di Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita, che porta con se’ sospetti e recriminazioni. O, sul terreno della presunta trattativa Stato-mafia, il caso Mancino che lambisce il Quirinale. Tante mine che possono destabilizzare l’intero quadro politico e dunque le basi del governo tecnico.
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