Falso made in Italy fattura 80 miliardi

In Giappone, Brasile e Germania, solo per citare i primi tre paesi più interessati dal fenomeno dell'Italian Sounding, 7 prodotti agroalimentari italiani su 10 non hanno nulla a che vedere con il vero made in Italy agroalimentare

Falso made in Italy
Falso made in Italy

Il fatturato dell’export dei prodotti agroalimentari percepiti come italiani vale oltre 129 miliardi di euro, di questi solo il 40% va alle imprese che producono vero made in Italy, il resto, la fetta più grande, alimenta l’industria del falso.

La denuncia viene dal workshop “La cooperazione agroalimentare tra tutela e valorizzazione del cibo italiano. L’export alla prova dei mercati e dell’Italian Sounding organizzato da Confcooperative nel corso della prima giornata del Festival dell’Economia a Trento. Insomma il falso Made in Italy agroalimentare fattura 80 miliardi, 30 in più di quello vero.

“In Giappone, Brasile e Germania, solo per citare i primi tre paesi più interessati dal fenomeno dell’Italian Sounding, 7 prodotti agroalimentari italiani su 10 non hanno nulla a che vedere con il vero made in Italy agroalimentare – ha sottolineato il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini – Il mercato del falso nel made in Italy agroalimentare vale più del totale dell’export veramente italiano, nonostante quest’ultimo abbiamo superato la barriera psicologica dei 50 miliardi di controvalore.

A fronte di questo risultato il falso made in Italy ha fatto registrare un fatturato poco meno di 80 miliardi, il 60% in più. Un paradosso che produce un notevole danno economico per i produttori e di immagine per l’intera economia del nostro Paese”.

Ragù, Parmigiano e aceto balsamico, sono i tre prodotti più falsificati: 6 su 10 di quelli venduti all’estero sono italian fake food, prodotti che di italiano hanno solo il nome, eppure vengono percepiti come tali da chi li acquista.

“Per superare questa criticità, o quanto meno ridurne l’impatto – secondo Marco Grazioli, presidente di The European House Ambrosetti – occorre muoversi su due piani: uno culturale e uno normativo. Sul primo fronte occorre senza dubbio favorire la consapevolezza delconsumatore straniero verso le valenze distintive delMade in Italy agroalimentare.

Dal punto di vista normativo invece, è necessario puntare su nuovi accordi dilibero scambio, su intese bilaterali più favorevoli per leimprese agroalimentari stabilendo anche clausole chevietino l’evocazione dell’italianità e dare impulso alla tracciabilità sfruttando la tecnologia di blockchain e smartlabeling e, in generale, contribuire a dare supporto tecnologico alle pmi italiane”.