‘Si’, abbiamo sbagliato nel dopo Tahrir, perche’ abbiamo lasciato che gli islamisti ci derubassero della rivoluzione. Ma non e’ terminata, e continueremo a rivolgerci a tutti gli egiziani per ottenere i diritti che i martiri hanno conquistato’. Parole amare, ma anche di lotta, in bocca ad un giovane di piazza Tahrir, il luogo simbolo della rivoluzione che l’anno scorso ha fatto cadere il regime trentennale in Egitto, a poche ore dalle elezioni che porteranno il primo presidente dell’era post-Mubarak.
A parlare e’ Abdel Ghani Hendi, quadro del partito ’11 febbraio’ (il giorno in cui nel 2011 Hosni Mubarak lascio’ il potere dopo 18 giorni di proteste popolari), formato da giovani rivoluzionari indipendenti e legati ai movimenti del 6 Aprile e Kefaya (Basta!). Pensieroso e preoccupato, Hendi non esprime una chiara indicazione del suo gruppo per la scelta del candidato alla presidenza della repubblica egiziana. ‘L’ambiente delle elezioni non e’ allegro, c’e’ qualcosa che getta un’ombra sul primo voto del dopo Mubarak – continua Abdel -. Noi siamo in attesa e stiamo in guardia perche’ non sappiamo come il prossimo presidente dirigera’ l’Egitto’.
Formatosi all’universita’ di Al Azhar, centro di cultura e teologia islamica collegato alla figura del Grande Imam omonimo, la maggiore autorita’ di riferimento per i musulmani sunniti, Abdel Ghani Hendi attacca con energia gli islamisti, che accusa ‘di aver rubato la rivoluzione fatta a tutti i livelli dai giovani egiziani e di volersi impadronire delle elezioni presidenziali’.
‘Tutti coloro che vogliono un posto o un seggio – ammonisce il giovane – devono sapere che la sedia sulla quale siederanno e’ macchiata del sangue dei martiri, i cui diritti sono sempre usurpati. Dio non tollera l’ingiustizia e segue da vicino questo paese’. Abdel si pente del fatto che ‘siamo stati presi da Tahrir e dagli incidenti al consiglio dei ministri ed in via Mohamed Mahmoud, e abbiamo dimenticato – ammette – di rivolgerci ai villaggi e alla gente semplice, che sono stati monopolizzati dagli islamisti con il danaro, con gli aiuti alimentari e con la loro ideologia’.
Se gli islamisti ‘amassero veramente l’Egitto – si chiede, nella speranza che le urne non li diano vincitori – avrebbero speso tutti questi miliardi per la propaganda elettorale, per dare cibo ai villaggi poveri o invece per garantire loro progetti durevoli? Un presidente – ricorda in conclusione – e’ un servitore del popolo, e non il suo padrone’.
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