Il wi-fi pubblico resta libero. La connessione a internet nei ristoranti, bar, negozi, alberghi ma anche negli uffici della pubblica amministrazione non avra’ alcun limite: non sara’ cioe’ necessario inserire alcuna informazione identificativa da parte di chi lo utilizza, che sara’ invece libero di navigare senza alcun obbligo.
La necessita’ di lasciare i propri dati per accedere al web era stata introdotta dal decreto Pisanu per la sicurezza ed era decaduta gia’ nel 2011. Tuttavia perche’ sparissero effettivamente gli obblighi di riconoscimento imposti agli esercenti, era necessaria una norma approvata in extremis ieri sera nelle Commissioni Bilancio e Affari costituzionali della Camera, dove e’ all’esame il decreto del fare. Il precedente testo del dl chiedeva invece di tracciare i codici del computer, tablet o smartphone usato per connettersi all’hot spot, imponendo oneri tecnici e burocratici per i locali pubblici. ”Abbiamo ottenuto il cambiamento dell’articolo 10 del decreto, che ora stabilisce che, nel caso in cui non si tratti dell’attivita’ prevalente degli operatori, l’offerta di accesso alla rete internet al pubblico tramite rete wi-fi non richiede l’identificazione personale degli utilizzatori. – spiega soddisfatto Marco Meloni, deputato Pd e componente della Commissione Affari costituzionali – L’auspicio e’ che questo importante passo contribuisca a una maggiore diffusione e fruibilita”’.
Se il wi-fi restera’ dunque libero, un colpo all’agenda digitale voluta dal governo Monti arriva pero’ dalla decisione presa in Commissione nella tarda serata di ieri. Per evitare i tagli alle emittenti locali saranno infatti utilizzate le risorse destinate dal dl sviluppo dello scorso anno a sanare il digital divide al Centro Nord (originariamente 150 milioni decapitati ora di 20). Tra le novita’ dell’ultimo minuto inserite nel dl fare c’e’ anche l’esclusione dell’estensione del tetto agli emolumenti agli amministratori delle societa’ non quotate che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica come Poste, Ferrovie dello Stato, Anas (la scorsa settimana era stato approvato peraltro anche un emendamento che stabiliva che alle societa’ pubbliche quotate non si applichera’ piu’ il taglio del 50% delle spese sulle auto previsto dalla spending review).
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