Sono tutti d’accordo i direttori delle maggiori testate italiane: basta il carcere per i giornalisti. Da Belpietro a Travaglio, da Bianca Berlinguer a Giorgio Mulè, tutti – in sintesi – dicono la stessa cosa. Oggi i direttori delle principali testate nazionali sono stati protagonisti dell’indagine conoscitiva voluta dalla Commissione Giustizia "in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante", e moderata da Pino Pisicchio, presidente del Gruppo Misto, Vicepresidente di Centro Democratico e componente della commissione Giustizia. Secondo Pisicchio, a proposito di diffamazione, “il Parlamento ha il dovere, dopo anni di polemiche strumentali e inconcludenti, di approvare una nuova legge sulla diffamazione, in linea con i tempi e le innovazioni tecnologiche, che elimini il carcere per i giornalisti e che garantisca libertà e pluralismo dell’informazione. Oggi il confronto con i direttori delle maggiori testate giornalistiche italiane ha dimostrato come un rapporto corretto e rispettoso dei rispettivi ruoli tra politica e giornalismo rappresenta il percorso più giusto e corretto per raggiungere l’obiettivo di una buona regolazione giuridica".
Diversi gli interventi che si sono susseguiti durante l’incontro. Fra questi, quello di Marcello Masi, direttore ad interim del TG2: "Stiamo facendo una battaglia di civiltà per la difesa del diritto di opinione. Ci tengo a sottolineare che oggi dobbiamo fare uno sforzo di visione. Il reato d’opinione va abolito e dobbiamo tornare al buon senso. Ma manca una proposta di visione, di futuro che è già oggi. Un domani il peso dell’informazione via web sarà molto più pesante di quello dei tg e dei giornali. Oggi escludere questo tema è un errore, vanno messe le basi per un confronto che va avviato subito".
Maurizio Belpietro, direttore del quotidiano Libero, afferma: “Non si fa distinzione tra intenzionalità della diffamazione oppure no: così reato colposo diventa doloso, e questa è una stupidaggine. Pensate davvero che noi siamo lì a scrivere il falso per beccarci una condanna? Nel caso del direttore poi c’è l’assurdo, l’omesso controllo. Capite – dice Belpietro rivolto ai parlamentari – che è il caso di ripensare tutto ciò".
Marco Travaglio, attualmente vicedirettore de il Fatto Quotidiano, la pensa così: “Siamo tutti d’accordo che il carcere ci vuole se c’è il dolo, bisognerebbe impiantare la distinzione tra quello che aiuta a separare il reato d’opinione che non dev’essere più reato dall’attribuzione di fatti falsi e infamanti. E tra chi è in buona fede e chi no attraverso lo strumento dell’autorettifica spontanea. Però non obbligateci a pubblicare le rettifiche senza replica, perché a volte le rettifiche sono piene di falsità".
Bianca Maria Berlinguer, direttore del TG3, ricorda: “Siamo anche responsabili di quanto detto dagli ospiti in onda, non solo di quello che passa nei servizi. Il direttore di un tg risponde anche di questo, delle opinioni degli altri in diretta. È impensabile, questo. L’altra questione di cui vorrei parlare è l’istituto della rettifica. È giusto che considerata esauriente non si vada oltre, ma per i tg è diverso, la rettifica avviene velocemente cioè nell’edizione successiva. È difficile che poi si proceda nell’atto giudiziario. Il carcere va assolutamente eliminato. Voglio sottolineare poi che quando si querela il tg, si querela il direttore, il giornalista e il conduttore, che ha solo introdotto la notizia. L’azione giudiziaria coinvolge tre persone e non ha senso. Bisognerebbe mettere ordine”.
Il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, osserva: “il carcere, in un Paese civile, non dovrebbe essere mai previsto per i reati d’opinione, e credo che questa potrebbe essere l’occasione per un riesame complessivo di quella che deve essere la responsabilità del direttore, che ubbidisce a una legge scritta quando i giornali avevano meno pagine e il direttore poteva leggersi tutti i pezzi".
Sara Varetto, Direttore SKY TG24: "Vorrei partire da un dato. Oggi è cambiato anche il ruolo del direttore: c’è una pluralità di testate che fanno capo allo stesso giornale, ci sono i siti, controllare tutto è impossibile e per come è impostata la legge oggi, è praticamente impossibile. Noi siamo un canale in diretta per 19 h al giorno, impossibile quindi da controllare in ogni lancio o ogni servizio. La nostra professione oggi è cambiata molto, si è tenuti ad una velocità molto maggiore e la pressione psicologica che si subisce lavorando alla massima velocità. Nelle varie proposte si esclude la sussistenza della diffamazione qualora il fatto sia vero e quindi la contestazione sia relativa solo all’opinione del giornalista. Va tutelato il diritto del giornalista ad esprimersi. Qualsiasi normativa deve tenere conto che l’informazione è cambiata, nei modi nei mezzi, nelle piattaforme. Non ci possono essere norme rigide che tengono conto solo di una parte dell’informazione e non tengono conto del resto. La normativa dovrebbe tener conto del quadro generale, dei mezzi a disposizione e delle peculiarità di questi".
Per concludere, vi proponiamo l’opinione del direttore di Panorama, Giorgio Mulè: "Sono qui in una veste scomoda. La commissione ha intrapreso questo cammino a seguito di un provvedimento che mi riguarda. Una condanna per omesso controllo. Mi sono dato un periodo di tempo, cento giorni da quella condanna, a fine maggio. Cento giorni perché se la sentenza non è appellata, diventa esecutiva. E’ una battaglia di civiltà alla quale ci richiama la Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Pochi giorni fa si è aggiunta agli otto mesi di reclusione un’ulteriore condanna. Sostanzialmente parliamo di sedici mesi di reclusione per articoli che il sottoscritto non ha scritto. L’estensore dell’articolo è stato condannato a seicento euro di multa, io a sedici mesi di carcere. Mai mi è stato comminato il carcere. Avevo tre pregiudizi per dei pezzi scritti in passato, che secondo il giudice erano motivi ostativi alla concessione delle attenuanti generiche. Ho attentamente valutato di dimettermi dalla direzione di Panorama, come intimidazione e limitazione all’accesso degli articoli. Vi è una compressione del diritto di critica, dell’art.21 della Costituzione. Il primo punto che mi sta a cuore è di stabilire le responsabilità in capo ad ognuno. Un direttore non può controllare tutto quello che viene pubblicato. Non c’è in giurisprudenza un caso in cui il direttore addebita la culpa in vigilando al vicedirettore. Per ogni pagina e parola, il direttore dovrebbe controllare le presunte diffamazioni. 650mila battute che arrivano in poche ore, per cui il direttore non riesce a leggere tutto. Il Giurì sarà certamente più veloce".
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