Un governo, un partito, un programma. La Gran Bretagna a 24 ore dal voto ha tutte le carte sul tavolo. David Cameron torna a Downing street in pompa magna, con alle spalle un’inaspettata maggioranza assoluta di seggi ai suoi Tory a Westminster: a dispetto dei sondaggi e della previsione (unanime quanto sbagliata) dello spettro dell’Hung Parliament, di un ‘Parlamento Impiccato’.
Spazzate via le incertezze, il premier confermato si proietta gia’ nel futuro, promettendo – nel nome d’un ‘conservatorismo compassionevole’ – di allargare almeno a una parte degli esclusi i benefici della ripresa economica. Ma non si tira indietro neppure dalla promessa del referendum ‘dentro-o-fuori’ dalla Ue, temuto come un appuntamento dagli esiti imprevedibili a Bruxelles come dalla City e dal grande business, che pure oggi ha brindato alla vittoria dei conservatori.
Mentre sullo sfondo si riaccende la questione scozzese, che in caso di uscita di Londra dall’Europa sarebbe destinata a esplodere forse definitivamente. Il batticuore per un risultato che si immaginava testa a testo e’ durato lo spazio di una notte. Anzi meno, perche’ fin dagli exit poll si e’ intuito che non sarebbe andata cosi’. Una certa frammentazione c’e’ stata, ma il vantaggio dei Conservatori sui laburisti di Ed Miliband e’ parso subito netto. Poi, con lo spoglio dei dati reali nei singoli collegi, ha preso forma una vittoria senza se, senza ma e senza bisogno di alleati. I conservatori hanno chiuso la partita con quasi il 37% dei voti e soprattutto 331 seggi su 650 alla Camera dei Comuni: una maggioranza assoluta non larghissima ma solida, che il partito non vedeva dai tempi di Margaret Thatcher e del primo John Major.
Per gli avversari, invece, e’ stata la decimazione. Le teste dei leader battuti sono cadute una dopo l’altra, a mano a mano che le sconfitte si tramutavano in disfatta. Il Labour che Miliband aveva provato a riportare all’era pre-Blair, ma con un piede solo, si e’ fermato sei punti e quasi 100 seggi piu’ in basso. E a Ed non e’ rimasto che dimettersi, con al fianco la moglie e tra gli applausi dei militanti che non spostano voti, con il rischio di tornare a essere "il fratello di David", ex ministro degli Esteri e blairiano di famiglia. Ancora peggio e’ andata a Nick Clegg, che nel 2010 aveva portato i Libdem al loro picco storico e questa volta li ha sotterrati a 8 seggi (perdendone la bellezza di 49) dopo la spuria alleanza con i Tory. Anche per lui sono arrivate in rapida successione il riconoscimento del disastro, la commozione e l’uscita di scena.
Diverso il discorso per l’euroscettico Nigel Farage, che ha incassato con il suo Ukip un buon 12,5%, issandosi a terza forza del Regno, ma ha pagato dazio in seggi a causa del maggioritario strappando un solo deputato e perdendo nel suo stesso collegio. Di qui le dimissioni annunciate, fino a quando il partito, orfano del suo unico leader, non gli chiedera’ di ripensarci. Se i Tory vincono senza mezzi termini in Inghilterra, in Scozia tuttavia c’e’ un altro vincitore. Meglio, una vincitrice: la First Minister di Edimburgo, Nicola Sturgeon, che alla testa degli indipendentisti dell’Snp archivia la sconfitta nel referendum per la secessione del 2014, annienta in casa il Labour e ripropone la sua battaglia direttamente alla Camera dei Comuni di Londra, con una clamorosa infornata di 56 deputati. La quasi totale rappresentanza dei 59 collegi del grande nord.
Cameron, intanto, si gode il trionfo "piu’ dolce", come dice agli attivisti del suo partito infierendo sui pronostici di sondaggisti e commentatori. Ma e’ subito al lavoro e dopo aver ricevuto il secondo mandato di premier dalla regina a Buckingham Palace ha messo mano alla lista dei ministri confermando per primo il fedelissimo George Osborne al timone della politica economica, in veste di Cancelliere dello Scacchiere.
Alla gente, parlando davanti all’ingresso del numero 10 di Downing street, promette poi "una Gran Bretagna piu’ grande" dove "una vita migliore sia alla portata di tutti quelli che lavorano". L’obiettivo sono altri 2 milioni di posti di lavoro, in un Paese che ha ripreso a crescere dopo la crisi e nel quale la disoccupazione e’ scesa sotto il 6%, ma al prezzo di contratti con poche tutele e di forti scompensi sociali. Soprattutto, pero’, Cameron insiste nell’assicurare ai sudditi di Sua Maesta’ "un referendum sul futuro europeo" del Regno carico d’incognite. Mentre un invito a lavorare insieme per riformare l’Ue, oltre che sul dossier immigrazione, arriva in una telefonata con Matteo Renzi: fra i primi a chiamarlo per congratularsi con Donald Tusk e con Barack Obama.
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