Trovare un uomo, artigiano di professione, che vive e lavora tra Roma e Viterbo e che ancora e per ogni notte prima di coricarsi versa lacrime davanti alle immagini del funerale di Elvis Aaron Presley non è cosa di tutti i giorni. Quando decisi di dedicare questo breve ricordo al Re del Rock and roll non mi sono dimenticato di interpellare Romeo Capocaccia, un caro amico che sapevo (per conoscenza personale) essere non solo uno dei più grandi estimatori ma anche un profondo conoscitore del giovane “ragazzo” americano che fece impazzire il mondo.
The King nasce a Tupelo (Mississippi) l’8 gennaio del 1935 da una famiglia poverissima. Sopravvisse con fatica ad un parto gemellare a differenza del fratello che non vide mai la luce. Si trasferirono negli anni Cinquanta presso la città di Memphis, località del Tennessee, all’epoca simbolo di progresso e sviluppo economico. Oggi questa metropoli, unitamente a Liverpool, rappresenta nella memoria collettiva il sagrato per eccellenza della storia musicale del secolo scorso e il grande “laboratorio sperimentale” del mitico Presley.
Erano gli anni d’oro, i favolosi Cinquanta, con le sfavillanti Cadillac, i primi Jukebox, i Drive-in, l’avvento della Coca Cola e – soprattutto – della nascita di quel nuovo sound che contagerà in breve tempo molte generazioni. Elvis è ancora considerato il più grande non soltanto per la calda e vellutata voce che per molti aspetti era inconfondibile ma anche e soprattutto per il suo stile, il modo originale di rappresentarsi al pubblico, con la sue acconciature e un vestiario che è stato emulato all’inverosimile in ogni parte del pianeta. Non un cantante, non una star e non un musicista, nel suo complesso The King è stato vera leggenda.
Incantevole melodia che si sposava perfettamente con la forte presenza sul palco, con un carisma dirompente che lo ha sempre contraddistinto e che ha fatto sognare l’America. Tra alti e bassi gli anni Sessanta sono forse i più controversi della sua breve vita, tra successi talvolta altalenanti e uno stato d’animo personale molto delicato.
Anche se le nuove Rock band anglosassoni e statunitensi quali Beatles e Rolling Stones dirottano un po’ l’attenzione sia dei fan sia dei mercati discografici verso nuove tendenze, la gloriosa epopea di Elvis non tramonterà mai, consolidandosi negli anni grazie alle migliaia di esibizioni, tournee e performance che lo vedranno impegnato in tutto il vasto e amato Paese a stelle e strisce.
Fu ricevuto da Nixon nello storico incontro alla White House… ma così come il mito si era innalzato in vetta all’olimpo dei più grandi della storia, come spesso accade, l’enorme successo lo ha anche portato in un lungo tunnel senza scampo.
Barbiturici, anfetamine, tranquillanti, droghe e alcool diventano compagni costanti nella vita della star. Proprio a causa di troppe dosi massicce di medicinali e mix di letali cocktail, Elvis The King lascerà (prematuramente) la vita terrena il giorno 16 agosto del 1977. In totale produsse ben 61 album. Gran parte di queste perle sono nella collezione privata di Romeo Capocaccia che, da appassionato, ci racconta il suo punto di visto sull’artista.
“Naturalmente descrivere la bravura del cantante è pressoché inutile, perché c’è la storia che parla. Come disse anche John Lennon, prima di Elvis non c’era niente. Io seguo il genio di Memphis ormai da oltre vent’anni e di lui preferisco guardare la parte umana. C’era tanto dentro al cuore di quel ragazzo nato povero e morto a soli 42 anni in circostanze veramente tristi. Umile, buono, deriso da bambino, perfino in contrasto con la maestra, che gli impediva di suonare la chitarra a scuola. Insegnante però che non esitò un attimo a vendere le matite di Presley quando questo divenne famoso”.
Prosegue Capocaccia: “Era arrivato a comprare una Cadillac al giorno perché temeva che se fosse caduto in povertà almeno avrebbe avuto un parco macchine che gli avrebbe dato sicurezza finanziaria. Era un ragazzo molto sensibile, tanto showman sul palcoscenico ma anche enorme solitudine nella vita privata. Amava circondarsi di amici proprio per la paura di restare solo, quasi fosse una fobia, e per sbloccarsi da quella sua proverbiale timidezza. Pensare che era THE KING in ogni luogo ma non certo nel lato personale. Questo è quello che mi ha sempre incuriosito ed affascinato di Elvis. E poi quei maledetti medicinali, uniti ad uno stile di vita piuttosto esagerato e la troppa sensibilità lo hanno totalmente distrutto. Un milione di dollari all’anno soltanto per le medicine, assumendone fino a 15 a notte per colpa di un’insonnia devastante. Fino alla dose letale. Ogni notte prima di dormire mi faccio accompagnare dalla sua My Way o dagli altri capolavori che rimarranno per sempre immortali. Quando conobbi Little Tony ad un concerto (il migliore dei suoi emulatori) mi confessò che Presley gli aveva donato una delle sue migliori chitarre, quando pensai a cosa Tony mi avesse detto in quei secondi e quale cimelio avesse in casa mi passò un brivido nella schiena poiché un oggetto appartenuto al RE è un oggetto che è intriso di genialità, incanto e pura magia…. Onore a Elvis, oggi e sempre!”.
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