Sei mesi di reclusione per Francesco Storace. Questa la pena che ha chiesto la Procura di Roma in relazione alla vicenda del vilipendio del capo dello Stato. Nel corso del suo intervento il giudice onorario Lara Pezone ha riconosciuto le attenuanti generiche alla luce della "condotta dell’imputato" che si è recato dal "presidente per chiedere scusa", ma ha ribadito che "il reato si è verificato e non può essere riconosciuta l’immunità parlamentare". La sentenza del giudice monocratico di Roma è attesa nel pomeriggio.
Storace, oggi vicepresidente del Consiglio regionale e all’epoca dei fatti senatore di An, è sotto processo per avere detto "indegno" nel 2007 al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, configurando così il reato di vilipendio.
Per il Pm la politica “si può criticare, ma senza arrivare alle offese. E’ vero anche che la politica attualmente è oggetto di degrado e ci sono tante persone che dicono cose offensive, senza alcun limite nè pudore, ma non si può arrivare a offese così pesanti verso una carica nazionale che rappresenta l’unità di una Nazione”.
LA DIFESA L’allora senatore Francesco Storace "esercitò le sue prerogative politiche dando sfogo al suo temperamento polemico, ma questo non può costituire reato. E quindi deve vedersi assolto dall’imputazione di vilipendio perchè il fatto non costituisce reato". Così Giosuè Naso, legale di Storace, nella propria requisitoria nel corso dell’udienza finale del processo. "Quello che piu’ di ogni altro teme questa decisione e’ proprio il presidente della Repubblica – ha aggiunto l’avvocato – che, da uomo coerente, come potrebbe accettare con disinvoltura una condanna per vilipendio di un suo antagonista politico se è la stessa persona che nel 1974 sull’Unità scrisse ‘contro norme fasciste che colpiscono come vilipendio delle istituzioni i reati di opinione’?".
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