Per l’ex maggiordomo di Benedetto XVI si sono aperte di nuovo le porte della camera di sicurezza nel palazzo della Gendarmeria vaticana. In esecuzione della sentenza che il 6 ottobre scorso lo ha visto condannato a un anno e mezzo di reclusione per il furto aggravato di documenti riservati, Paolo Gabriele ha lasciato oggi gli arresti domiciliari, dove si trovava dal 21 luglio scorso, ed e’ stato nuovamente rinchiuso in cella.
Questo l’effetto della sentenza diventata oggi definitiva dopo che sia la difesa che l’accusa hanno rinunciato a ricorrere in appello. ‘Percio’ – ha dichiarato il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi – per mandato del presidente del Tribunale, il promotore di giustizia ha disposto questa mattina la reclusione in esecuzione della sentenza’. E nel pomeriggio, Gabriele ha lasciato il suo appartamento in Vaticano, ha salutato la moglie e i tre figli, ed e’ stato ricondotto in cella, la stessa di quattro metri per quattro dove aveva trascorso gran parte dei due mesi di detenzione dopo l’arresto avvenuto il 23 maggio.
Resta ora aperta, ha sottolineato ancora padre Lombardi, ‘la possibilita’ della grazia’ che potrebbe essere concessa da Benedetto XVI. Una ‘eventualità’, comunque, che non e’ certo automatica, come si evince da un comunicato diffuso oggi dalla Segreteria di Stato: la grazie rimane ‘un atto sovrano del Santo Padre’, e ha determinate condizioni: ‘essa – viene sottolineato – presuppone ragionevolmente il ravvedimento del reo e la sincera richiesta di perdono al Sommo Pontefice e a quanti sono stati ingiustamente offesi’.
Intanto, con il passaggio della sentenza in giudicato, che comporta che Gabriele dovra’ scontare la detenzione a lui inflitta, si e’ aperta a suo carico ‘la procedura per la destituzione di diritto, prevista dal regolamento generale della Curia romana’. Nessun altro beneficio, quindi, per l’ex maggiordomo ‘infedele’, responsabile della bufera ‘Vatileaks’ con la mole di carte segrete trafugate e diffuse all’esterno, ma applicazione dei regolamenti alla lettera, anche, per ora, per quanto riguarda la posizione lavorativa.
La Segreteria di Stato, tra l’altro esprime valutazione molto severe sull’accaduto, nel momento in cui la sentenza passata in giudicato ‘mette un punto fermo su una vicenda triste, che ha avuto conseguenze molto dolorose’. ‘E’ stata recata un’offesa personale al Santo Padre – viene sottolineato -; si e’ violato il diritto alla riservatezza di molte persone che a Lui si erano rivolte in ragione del proprio ufficio; si e’ creato pregiudizio alla Santa Sede e a diverse sue istituzioni; si e’ posto ostacolo alle comunicazioni tra i Vescovi del mondo e la Santa Sede e causato scandalo alla comunita’ dei fedeli’. Infine, ‘per un periodo di parecchi mesi e’ stata turbata la serenita’ della comunita’ di lavoro quotidianamente al servizio del Successore di Pietro’.
Sempre per la Segreteria di Stato, ‘l’imputato e’ stato riconosciuto colpevole al termine di un procedimento giudiziario che si e’ svolto con trasparenza, equanimita’, nel pieno rispetto del diritto alla difesa’. Il dibattimento ‘ha potuto accertare i fatti’, appurando che ‘il sig. Gabriele’ ha messo in atto ‘il suo progetto criminoso senza istigazione o incitamento da parte di altri, ma basandosi su convinzioni personali in nessun modo condivisibili’. ‘Le varie congetture – rimarca la Segreteria di Stato – circa l’esistenza di complotti o il coinvolgimento di piu’ persone si sono rivelate, alla luce della sentenza, infondate’. In ogni caso, ‘se rapportata al danno causato’, la pena applicata nei confronti dell’ex aiutante di camera di Sua Santita’ ‘appare al tempo stesso mite ed equa’, e cio’ ‘a motivo della peculiarita’ dell’ordinamento giuridico dal quale promana’.
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