Con il suo ”avallo” alla pubblicazione dell’ormai famosa intercettazione in cui Piero Fassino diceva a Giovanni Consorte ”allora abbiamo una banca”, che era stata trafugata dai pc della Procura di Milano, Silvio Berlusconi ha ottenuto un ”vantaggio” nella ”lotta politica”, danneggiando ”l’immagine” dell’allora segretario dei Ds mentre si avvicinavano le elezioni, quelle della primavera del 2006. Cosi’ i giudici della Corte d’Appello di Milano hanno motivato il riconoscimento della responsabilita’ penale per l’ex premier e per il fratello Paolo – editore de ‘Il Giornale’ che mise in prima pagina il contenuto del ‘nastro’ – dichiarando, pero’, per entrambi la prescrizione del reato di concorso in rivelazione di segreto d’ufficio.
Nelle venti pagine di motivazioni il giudice estensore Alberto Puccinelli, nel confutare quanto sostenuto dalla difesa del leader di Forza Italia, ha sottolineato che, benche’ nella vicenda non ci sia stato un interesse di ”ordine patrimoniale” per Berlusconi, ”presumere” un ”interesse di tipo diverso, commisurato al vantaggio acquisito nella lotta politica, non appare in contraddizione” con l’accusa contestata. In quel periodo stava cominciando, infatti, la campagna elettorale per le elezioni politiche della primavera successiva, vinte poi solo con un leggero vantaggio dal centro-sinistra dopo la ‘rimonta’ del centro-destra.
L’intercettazione tra Fassino e l’allora ‘numero uno’ di Unipol Consorte risale al luglio del 2005, ai tempi della scalata di Unipol alla Bnl, e venne pubblicata, quando era ancora coperta da segreto istruttorio ed esisteva solo come file-audio, il 31 dicembre dello stesso anno. Alcuni giorni prima, tra l’altro, alla vigilia di Natale del 2005, sarebbe stata ascoltata dal leader di Fi ad Arcore, portata in ”regalo” dagli imprenditori Fabrizio Favata e Roberto Raffaelli.
Il 7 marzo 2013 Berlusconi e’ stato condannato a un anno di carcere e il fratello Paolo a 2 anni e 3 mesi e poi, lo scorso 31 marzo, la seconda sezione della Corte d’Appello, presieduta da Fabio Paparella, ha dichiarato la prescrizione del reato ma ha riconosciuto la responsabilita’ penale dei due fratelli Berlusconi, confermando quindi il risarcimento da 80 mila euro all’attuale sindaco di Torino, parte civile e assistito dal professore e avvocato Carlo Federico Grosso.
La ”condotta” di Berlusconi di ”avallo e consenso all’uso pubblico” del ‘nastro’, hanno scritto i giudici, ”ha costituito un concreto contributo causale alla produzione del danno” nei confronti dell’allora leader dei Ds. Un ”danno connesso alla perdita di immagine politica e consistente – spiega il collegio – nella profonda sofferenza personale seguita alla vicenda in se’, e all’impatto mediatico che essa aveva avuto, sviluppandosi fra l’altro con toni studiatamente e smisuratamente scandalistici, diretta a colpire individualmente la sua persona”. Il riferimento fatto dalla parte civile, scrive ancora il collegio, ”all’esito delle elezioni” della primavera del 2006 ”non vale ovviamente ad individuare un soggetto danneggiato (il partito) rimasto estraneo al processo, ma puo’ costituire (…) un utile parametro pratico della natura del profondo disagio patito a livello personale e morale dall’esponente politico”. Fassino, infatti, si legge nelle motivazioni, ”ha creduto di aver ‘contribuito’ con quella sua vicenda personale ad un risultato elettorale al di sotto delle aspettative e dei sondaggi che avevano preceduto quella campagna di stampa”. Il reato a carico dei fratelli Berlusconi, pero’, chiariscono i giudici, si e’ prescritto ”il 2 agosto 2013”.
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