Ancora immagini di bambini senza vita, deposti in casse di fortuna, avvolti da coperte e con la testa fasciata. Ancora invocazioni ad Allah e imprecazioni contro il regime da una voce fuori campo. E’ l’ennesimo video, diffuso oggi dagli oppositori, di un massacro in Siria: questa volta a Daraa, dove secondo gli attivisti almeno 17 civili sono morti nella notte tra venerdí e sabato sotto i bombardamenti governativi, che poi sono continuati durante la giornata su altre città, in particolare Homs. Le notizie dal terreno parlano di una incessante attivita’ militare in tante localita’ del paese, capitale compresa, mentre la diplomazia internazionale dà l’impressione di muoversi ancora al rallentatore e l’opposizione cerca di superare le sue divisioni interne alla ricerca di un rappresentante autorevole.
Non meno di 34 persone sono morte anche oggi nella repressione in tutto il Paese secondo i Comitati locali di coordinamento, dopo i 65 di ieri. Mentre l’agenzia governativa Sana dà notizia di "57 tra soldati, poliziotti e civili uccisi da gruppi terroristi armati" nelle province di Lattakia, Aleppo, Idlib, Deir Ezzor e Damasco. Nel corso della notte, inoltre, sparatorie sono state udite nella stessa capitale, dove combattimenti erano stati segnalati durante la giornata tra esercito regolare e ribelli. Secondo gli attivisti i colpi d’arma da fuoco sono stati uditi in particolare a Abbasseyin, sulla Via Baghdad e nei quartieri cristiani di Bab Touma e Qassa.
Dopo le manifestazioni di protesta che ieri, nel giorno di festa del venerdí islamico, erano tornate a farsi vedere in diverse città, oggi la parola è tornata alle armi. In particolare all’artiglieria, ai carri armati e ai mortai che, secondo i Comitati locali di coordinamento e l’Osservatorio nazionale siriano per i diritti umani (Ondus) hanno colpito varie roccaforti della resistenza al regime. In particolare i quartieri di Khaldieh e Juret al Shayah a Homs e, nella provincia di questa città, i centri di Qusair e Rastan, già martellate a lungo negli ultimi mesi. I Comitati parlano anche di "fuga di massa di residenti" nelle cittadine di Hayyan e Bayanon, nella provincia di Aleppo, sempre a causa dei bombardamenti.
Sul fronte diplomatico il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha confermato la sensazione diffusasi negli ultimi giorni secondo la quale Mosca sarebbe pronta a ‘scaricare’ il presidente Bashar al Assad se fosse necessario. "Se i siriani sono d’accordo tra loro e non sono sotto pressione esterna – ha precisato Lavrov – noi saremo felici di sostenere tale soluzione". Ma il capo della diplomazia russa ha anche affermato che il piano di Kofi Annan "non ha alternative", nonostante lo stesso inviato dell’Onu abbia denunciato nei giorni scorsi che esso in sostanza non viene applicato.
Lavrov ha invece insistito sul fatto che anche l’Iran, nonostante l’opposizione del gruppo degli ‘Amici della Siria’, debba essere coinvolto nelle trattative, partecipando a una conferenza che dovrebbe a suo parere vedere riuniti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la Lega Araba e i Paesi vicini.
Intanto l’organo dirigente del Consiglio nazionale siriano (Cns), la piattaforma dell’opposizione che riunisce islamici, liberali, nazionalisti, indipendenti e militanti sul terreno, si è riunito a Istanbul per eleggere un nuovo presidente che ne faccia un interlocutore credibile per la comunità internazionale dopo le dopo le dimissioni il mese scorso di Burhan Ghalioun in seguito a profonde divisioni interne. Il candidato piú quotato sembra essere Abdulbaset Sayda, un curdo indipendente residente in Svezia.
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