Mentre i media si apprestano a far girare la notizia della non ammissibilità dei referendum invitando i rappresentanti dei partiti a esprimersi secondo il ben noto conformismo politico, chi è fuori dall’agone e fa i conti in tasca al popolo dei tartassati, esulta per il fallimento dell’obiettivo nascosto che i furbetti Di Pietro e Parisi, questa volta orfani del compagno di merende Vendola, potevano raggiungere mascherandolo da esempio di lotta per la democrazia, rapinata dei suoi diritti dal porcellum elettorale.
Forse si dovrebbe rendere più visibile l’entità del rimborso elettorale che i comitati promotori intascano ad ogni tornata referendaria. E forse si capirebbe meglio la tenacia con cui costoro si impegnano, naturalmente spendendo il tempo dei giovani idealisti che raccolgono le adesioni, nel chiedere la consultazione popolare (i cui risultati vengono il più delle volte ignorati) su questioni che il Parlamento potrebbe affrontare e risolvere in tempi regolamentari.
Dobbiamo pensare che la rissosità dei partiti non consente all’istituzione rappresentativa dei cittadini di legiferare al meglio, e che si chieda aiuto al popolo al fine di sbrogliare matasse inestricabili per via gerarchica? Sarebbe come ammettere l’inutilità di Camera e Senato, e dare tutte le ragioni a quel tale superuomo che siede a Palazzo Chigi ricordandoci ogni giorno che fa le veci di una classe politica incapace e confusa.
Preferiamo optare per la nostra idea che i referendum siano tornati di moda per motivi economico-finanziari coperti dal velo della pudicizia: sono tempi duri anche per i partiti, che cercano spazi di investimento leciti per non finire tra le ruote, anzi, tra le rotative, della macchina del fango. I contributi elettorali diventano così la nuova forma di recupero crediti in grado di salvare i bilanci più a rischio o di soddisfare i leader politici più ingordi. Chissà che la decisione a sorpresa della Corte Costituzionale non serva a fermare la farsa.
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