Domenica 25 Novembre 2012: con le primarie del centrosinistra non si decide soltanto il futuro del Partito Democratico, della coalizione progressista e della sinistra in genere; la posta in gioco è molto più alta e riguarda le sorti dell’intero Paese, il suo presente e soprattutto il futuro sia politico-economico sia sociale. E in qualche misura anche l’Europa, dove, a causa delle posizioni intransigenti dei soliti “falchi” del presunto rigore, Inghilterra e Germania in testa – è stato appena rinviato al prossimo anno il tentativo di raggiungere un accordo sul bilancio settennale dell’Unione Europea. Verrebbe in realtà la tentazione di intuire effetti anche oltre l’Europa, visto che bene o male il mondo è “globalizzato” e il “glocal”, l’intreccio tra avvenimenti locali e planetari, è da tempo fuori discussione.
Incluso il ruolo e il senso del voto dei tanti italiani all’estero che da ogni continente hanno l’occasione di far sentire la loro non irrilevante voce anche in queste primarie.
Grande è quindi l’attesa e di conseguenza infiniti i contraddittori sondaggi e le voci più o meno serene della vigilia: vittoria del Segretario del Pd Luigi Bersani al primo turno (l’eventuale ballottaggio è previsto per il 2 Dicembre), testa a testa di Bersani con il sindaco di Firenze Matteo Renzi, exploit di quest’ultimo, prestazione sorprendente del governatore della Puglia Nichi Vendola, esponente di Sel (Sinistra e libertà) o cosiddetta sinistra radicale, e altre variabili minori. La partita principale sembra destinata a svilupparsi tra il “rottamatore” Renzi e “l’usato sicuro” Bersani, definizioni di facile impatto mediatico ma entrambe con un alone di sgradevolezza: la prima perché arrogante, cinica e faziosa; la seconda, successiva al can-can della rottamazione, perché in qualche modo grigia e poco attraente. Una potente affermazione di Renzi – che ha come “guru”, “spin doctor” o qualcosa del genere il 52enne bergamasco Giorgio Gori (nato nella provinciale “Radio Bergamo” dell’allora socialista Vittorio Feltri e cresciuto in casa Mediaset) e come grande sostenitore il finanziere Davide Serra, noto soprattutto per un “hedge fund” alle isole Cayman – sposterebbe verso il centro l’asse della coalizione, che sarebbe per di più esposta a un non indifferente travaglio interno, e aprirebbe scenari per certi versi imprevedibili.
Una vittoria di Bersani al primo o al secondo turno sarebbe di certo più rassicurante per tutte le componenti della coalizione, dal “centrofilo” e montiano Bruno Tabacci all’antimontiano Vendola che, in base a un sintetico ma chiaro documento d’intenti, Bersani è riuscito a tenere finora abbastanza armonicamente insieme. D’altronde Tabacci è già in giunta a Milano con il sindaco filo-Sel Pisapia. Senza pregiudicare il sia pur altalenante dialogo già sviluppato con il centro e in particolare con Pierferdinando Casini. L’affermazione di Bersani garantirebbe probabilmente un significativo ruolo futuro sulla scena politica anche al quinto candidato finora inspiegabilmente e ingiustamente oscurato sia dai mezzi d’informazione sia dai sondaggi: Laura Puppato, unica donna in gara, esperta d’ambiente e questioni sociali, ben vista da chi le riconosce il merito di essere stata l’unica a dire “cose veramente di sinistra” durante la campagna per le primarie.
NON SEMBRA PROPRIO TEMPO PER AVVENTURE, mentre la crisi socio-economica attanaglia ancora il Paese, il centrodestra sembra sfaldarsi e perdere consensi ogni giorno di più, l’Europa non riesce a concordare il suo bilancio preventivo e continua a tenere sulle spine la Grecia e in Italia il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è costretto a ricordare senza mezzi termini una patente ovvietà, ovvero che, essendo già senatore a vita, il presidente del Consiglio Mario Monti – opportunamente “antirigorista” in Europa insieme con il presidente francese Hollande – non è candidabile da nessuno per le prossime elezioni politiche e potrà solo a posteriori essere coinvolto. E qualcuno ha letto l’ovvia precisazione come una cripto-candidatura di Monti al Quirinale, fuori dalla mischia politica quotidiana ma con un cospicuo potere di indirizzo di qualunque futuro governo “politico-tecnico” e con intatta la capacità di continuare a rifare la faccia dell’Italia nel mondo e a operare per l’Europa unita e quindi un Occidente ragionevole guidato da un più solido Barack Obama. Il quadro politico-economico del Paese è di per sé sufficientemente instabile per desiderare l’avvento di nuove incognite che continuano a dire di voler rifare l’Italia. E’ solo un anno che si è usciti dalla malefica decomposizione di un altro progetto di rifare l’Italia che in realtà l’ha alquanto disfatta. E un esercito di “grilli” sembra impegnato, sia pur con tutt’altro stile e intenti, a costruire a sua volta le basi di un altro paese. Non solo per la sinistra – e forse anche per quegli ambienti che tendono a non riconoscervisi – sarebbe davvero meglio che in ogni caso, qualunque fosse il risultato, domenica non riservasse sconvolgenti sorprese. Chissà che alla fine anche il Parlamento non si decida a sacrificare o almeno a rasare le setole più ispide e pungenti di quel dannato “porcellum” che ancora razzola libero e sporcaccione nel presente e purtroppo anche nel futuro di un paese che non ha proprio bisogno né di vecchi maiali né di giovani leoni. E neppure di giornalisti in galera.
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