Salvati, dalla Cassazione, i magistrati che nelle loro sentenze o rinvii a giudizio, specie per vicende di violenza sessuale, usano – un po’ di getto, senza troppo pensare – il termine "tette" per indicare dove la vittima ha subito palpeggiamenti. Ad avviso dei supremi giudici, infatti, anche se sarebbe meglio che negli atti giudiziari si usasse un "linguaggio tecnico-scientifico", il ricorso alla parola "tette" non puo’ essere ritenuto offensivo della dignita’ della donna-vittima. Per questo, la Terza sezione penale della Cassazione ha deciso di respingere la richiesta della Procura della Suprema Corte – rappresentata dal sostituto procuratore Fulvio Baldi – di trasmettere gli atti alla Procura generale per avviare l’azione disciplinare nei confronti di un pm del Tribunale di Torre Annunziata che nel rinvio a giudizio di due uomini li accusava di aver toccato "le tette" a una minorenne.
"Non vi e’ dubbio – scrivono gli ‘ermellini’ nella sentenza 41367 depositata oggi – che nella formulazione delle imputazioni, come nella redazione di ogni atto giudiziario, debba essere preferito, per quanto possibile, l’uso di un vocabolario tecnico-scientifico e che il termine utilizzato nella specie non rientri in tale categoria". Proseguendo il verdetto, sempre sullo stesso argomento, la Cassazione rileva che "si tratta, nondimeno, di un termine che, pur appartenendo ad un linguaggio comune e colloquiale non colto, non presenta una specifica connotazione di volgarita’". "Con la conseguenza – conclude il verdetto dei supremi giudici – che lo stesso termine non puo’ essere ritenuto offensivo della dignita’ e dell’onore della persona offesa e che la sua utilizzazione all’interno dell’imputazione, pur criticabile in forza di quanto gia’ osservato, non appare riconducibile alla categoria dell’illecito disciplinare, tanto che deve escludersi la trasmissione degli atti alla Procura generale".
In compenso, e’ stata confermata la condanna a quattro anni e sei mesi ciascuno a carico dei due imputati che avevano anche approfittato del fatto che la minore soffriva di ritardo mentale ma era stata perfettamente in grado di raccontare i palpeggiamenti subiti a bordo di un pulmino.
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